Diario Politico©Raffaele Lauro,  Italia

Opinioni/Crisi del debito sovrano e crisi della politica. la situazione italiana

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Pubblichiamo una “lettera aperta” del Presidente Nazionale di Unimpresa sulla gravità della situazione politica ed economica italiana.

di Paolo Longobardi

Paolo Longobardi (Unimpresa)

“Il problema del debito sovrano agita vecchi spettri e solleva antiche paure: il fantasma della speculazione è in azione sul palcoscenico della madre di tutte le crisi. Un giorno la storia potrebbe ricordarlo come il “Cavallo di Troia” che fece cadere molte nazioni dell’economia reale. Ormai non é più una mera probabilità o una remota possibilità. Dopo Grecia Irlanda e Spagna, anche l’Italia rischia il default, il fallimento. Il debito pubblico italiano é da anni completamente fuori controllo, a causa dell’irresponsabilità e del crimine organizzato della politica.  E se un tempo si agitava lo spauracchio dell’uscita dell’Italia dall’Europa, oggi il colmo dei colmi é che l’Italia potrebbe trascinare con se l’euro a picco, provocando danni in tutto il continente. Moody’s e Standard & Poor’s hanno solo suonato un campanello d’allarme a cui seguirà l’inevitabile e inesorable terremoto italiano. Nel contesto internazionale la posizione dell’Italia è particolare: oltre al debito e al disavanzo, il nostro Paese soffre di una ormai cronica carenza di crescita, un drammatico gap di produttività e di competitività. Peraltro, non va dimenticato che l’Italia detiene il terzo debito pubblico mondiale, ma ha sempre tenuto nascosto il debito previdenziale dell’INPS che è pari a duecento volte il PIL (vale a dire il 200% del PIL). Il debito reale non è dunque il 116% del PIL ma grossomodo il 316%! Segni di esasperazione si registrano nelle aree più depresse del Paese. Ovunque si avvertono i sintomi acuti di una pre-esplosione di malcontento sociale. Siamo, dunque, irrimediabilmente giunti sull’orlo del baratro?  In effetti, la catastrofe sembra ormai incombente! Il Parlamento non è più l’organo legislativo che approva leggi che debbono investire l’intero contesto sociale. Si bada per lo più a tutelare interessi di parte con spirito fazioso e con un’aggressività che offende cittadini e Istituzioni della Repubblica. Stanno saltando gli equilibri fra i poteri dello Stato, unica garanzia contro tentativi di trasformare il nostro Paese in un regime autoritario e oligarchico, che ha di mira la cura di lobby di potere economico e politico a livello internazionale. La giustizia è troppo lenta, iniqua soprattutto nei confronti delle classi sociali più deboli, bisognosa di urgenti riforme. La corruzione è diffusa fra coloro che gestiscono i poteri dello Stato. La disoccupazione giovanile è galoppante e il precariato diffuso soprattutto nelle regioni meridionali. Le risorse del Paese sono mal distribuite, essendo investite maggiormente nel Nord, così penalizzando un Sud privo di strutture, di vie di collegamento e di servizi pubblici efficienti. Nessuna riforma istituzionale seria e moderna viene portata avanti per trasformare un Paese ancora organizzato secondo regole, sistemi e strutture obsolete che si richiamano al regime fascista. I cittadini non si sentono più parte di questa Repubblica, in mano a faccendieri e a uomini senza scrupoli, che la calpestano con comportamenti spregiudicati, rendendola così più vulnerabile a pretese egemoniche e alla speculazione internazionale. Le più alte cariche dello Stato e la classe dirigente non sono più esempi positivi e luminosi per i nostri giovani. Solo il Presidente della Repubblica, lontano da interessi personali, sta dimostrando equilibrio, saggezza ed elevato attaccamento alle Istituzioni dello Stato. E gli italiani tutti lo hanno  eletto a salvatore della Patria. Il tutto sta avvenendo all’interno di un gravissimo avvitamento della crisi internazionale e della crisi dell’Unione europea. Che è crisi di sovranità nazionali, crisi finanziaria, crisi dell’Europa in quanto istituzione e filosofia.

La manovra finanziaria. Troppi lati oscuri.

Di fronte al tracollo dei mercati l’Italia deve cambiare il passo. Il governo deve osare di più, soprattutto per il rilancio dell’economia. Il Paese affonda nelle grinfie delle mafie, nei disastri dei governanti, nelle truffe, negli scandali, nell’illegalità straripante.  L’autunno si preannuncia oltre la soglia critica, quando comincerà il gigantesco salasso di 45 miliardi l’anno, necessario per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 imposto dell’Europa.
La colossale manovra finanziaria, giunta ormai alla quinta versione, rischia non solo di essere insufficiente ma anche inutilmente recessiva. Essa finirà per devastare ulteriormente il Paese, provocando un prolungamento dell’agonia.
Il futuro italiano sarà crescita zero, tasse alle stelle, stipendi bassissimi, occupazione ultra-precaria o disoccupazione. La rapina fiscale e la ispida “solidarietà” imposti dallo stato italiano ci scaraventano quartultimi nella classifica del benessere cioè  nelle retrovie della miseria europea. Non a caso il contributo di solidarietà – dapprima introdotto, poi contestato, quindi accantonato, infine riproposto – rischia di essere solo depressivo perché non accompagnato da riforme strutturali che rilancino la competitività e la crescita del Paese. Peraltro, così come inizialmente concepito, avrebbe finito per colpire prevalentemente il ceto medio.
Sul lato dei tagli, continuare a ridurre risorse per gli enti locali, senza ristrutturare l’impianto amministrativo e istituzionale, vuole dire aggravare ancora di più l’emarginazione sociale soprattutto nei grandi centri metropolitani. I veri tagli nella manovra non ci sono ancora. Le ultime versioni fanno gravare l’aggiustamento dei conti pubblici ancora di più sul lato delle entrate, peraltro più incerte, perché è difficile stimare i proventi dalla lotta all’evasione. E, malgrado il governo si fosse impegnato a un aggiustamento prevalentemente sul lato della spesa, i tagli stanno scomparendo con il passare dei giorni. In questi ultimi anni i tentacoli della politica si sono progressivamente rafforzati dal centro alla periferia, dalle province alle municipalità, dalle società miste alle partecipate. Ci sono, pertanto, margini ulteriori per intervenire, ad esempio agendo sulla spesa assistenziale  e sclerotica delle regioni a statuto speciale.  Quasi metà della manovra (20 miliardi) continua a venire affidata alla norma capestro sul taglio delle agevolazioni fiscali: se la delega per la riforma fiscale non venisse esercitata entro settembre 2012 si procederà a un taglio automatico del 5% di agevolazioni e deduzioni Irpef e Iva, a scapito soprattutto delle persone con redditi più bassi. Il taglio salirebbe al 20% nel 2014. Sono più tasse e sono regressive e colpiscono soprattutto le famiglie a basso reddito. È una norma che lo stesso governo dichiara di non voler mettere in pratica e di tenere solo come extrema ratio nel caso non si arrivasse all’approvazione di una imprecisata riforma fiscale e assistenziale.
Il risultato è quello che si è detto: si andrà avanti con nuove tasse, senza rendersi conto che questo provocherà la recessione. E che la recessione renderà impossibile raggiungere il pareggio di bilancio. Quindi serviranno nuove tasse.
Come sottolineato dalla Banca d’Italia, alla luce della manovra la pressione fiscale dovrebbe salire sia nel 2012 che nel 2013 (rispettivamente di 1,1 e 0,7 punti) e nel 2014 si attesterebbe al massimo storico del 44,5%. Il livello sarebbe ancora maggiore se gli enti decentrati compensassero, anche solo in parte, la riduzione dei trasferimenti statali con un aumento dell’imposizione a livello locale.

Riforme strutturali per rilanciare la crescita. Serve un’inversione di marcia.

A più di due mesi dall’apertura di una “crisi di credibilità” drammatica per il nostro Paese, a quasi quattro settimane dalla decisione della BCE di intervenire a sostegno dei nostri titoli di Stato a fronte dell’impegno della nostra classe politica (maggioranza e opposizione) ad anticipare l’aggiustamento, il nostro governo –  pur varando una manovra dell’entità richiesta – non è ancora riuscito a chiarire nel dettaglio come raggiungerà in concreto questo risultato.
S’impone, dunque, un programma di emergenza attorno al quale radunare le forze propositive del nostro Paese. Il deficit si riduce non solo tagliando costi ma anche aumentando il PIL. Si è convinti che soprattutto in questa direzione la manovra andrebbe fortemente migliorata.  Eventuali cambiamenti nella struttura della manovra dovrebbero mirare a ridurre il peso degli aumenti delle entrate e accrescere il ruolo delle misure strutturali. In particolare, per garantire maggiori entrate servirebbe: 1) un intervento più incisivo sui costi della politica; 2) un contributo di solidarietà equo; 3) escogitare misure efficaci per il recupero della gigantesca evasione fiscale; 4) un piano di liberalizzazioni e privatizzazioni che faccia tesoro della lezione del passato, evitando che ai monopoli pubblici si sostituiscano quelli altrettanto inefficienti e parassitari dei privati.  Del pari, i tagli alla spesa e l’aumento (ingeneroso quanto evitabile) della pressione fiscale a carico dei “soliti noti”, andrebbero perlomeno controbilanciati da un pacchetto di stimolo all’economia  e da regole ferree contro la speculazione finanziaria.  Per recuperare rapidamente competitività e coesione sociale è opportuno rilanciare gli investimenti, puntare sulle imprese come principale motore per la crescita, sostenere i settori trainanti del made in Italy, finanziare adeguatamente la ricerca, abbattere i costi dell’energia così come il cuneo fiscale che riduce il salario netto e il potere d’acquisto delle famiglie.
Senza dimenticare che infrastrutture ed edilizia sono motori primari per la crescita. Revisione del programma di grandi opere e avvio di investimenti massicci di risanamento del territorio sono indispensabili per rimettere in moto la macchina nelle città e tenere vivo il tessuto imprenditoriale. Snellire la burocrazia, dove sono ancora troppi i poteri di veto che bloccano gli investimenti, e riformare la giustizia (soprattutto in riferimento alla celerità dei processi) consentirebbe di guadagnare numerose posizioni in termini di PIL. Per rilanciare la crescita bisogna anche lavorare di più, aumentare la produttività, debellare il sommerso, mettere mano ad una riforma complessiva dei meccanismi di regolamentazione dei rapporti di lavoro che porti ad un maggiore equilibrio nell’utilizzo dei contratti a termine e dei contratti a tempo indeterminato, puntare ad un rapido inserimento dei giovani nelle aziende. Il sistema non può tollerare una disoccupazione così elevata. Si immagina un sistema di incentivi fiscali per gli imprenditori e di crediti professionali per i giovani in modo da sostenere l’occupazione nelle aree dove la domanda delle imprese e spesso superiore all’offerta, come in particolare nelle professioni tecniche.
Occorre poi affrontare una riorganizzazione a 360 gradi del sistema previdenziale, che sia improntata a criteri di maggiore equità sociale e contributiva, completando il processo di riforma del sistema pensionistico avviato negli anni precedenti, correggendo le disparità di trattamento ancora esistenti tra diverse categorie di lavoratori.

Riflessioni conclusive.

Attuare le riforme poc’anzi illustrate, consentirebbe di mettere l’Italia sullo stesso livello degli altri Paesi europei. Per fare tutto questo, serve però un grande patto tra le parti sociali per lo sviluppo, unito a un forte impegno della politica a semplificare e delegiferare. Da qui la necessità di recuperare un grande senso dello Stato, realizzando un programma di riforme strutturali e istituzionali che segua tre parole d’ordine: rigore, equità e competitività.
Le speranze sono tutte rivolte al dopo-crisi, alla ricostruzione, sempre che il disastro annunciato dai mercati finanziari non trascini con sé anche quello che di sano ancora resiste nel nostro Paese. Rivedere la legge elettorale, per rendere più partecipi i cittadini nelle scelte dei propri candidati che non debbono essere imposti dall’alto, e dettare una Carta di valori, alla quale si debbano adeguare tutti coloro che intendono dedicarsi all’attività politica, sono altre priorità che a breve riteniamo improcrastinabili per cambiare dalle fondamenta l’attuale sistema.
Sia consentito lanciare un ultimo messaggio che, si spera, non cada nel vuoto: per ripartire non si guardi al minimo costo ma al beneficio superiore. Le scelte saranno dolorose e certo la classe politica non incasserà i benefici di una simile strategia, tuttavia occorrerà avere una visione alta verso il futuro. Non facciamoci portare via la sovranità elementare di decidere del nostro domani. È ora di alzare la testa, a tutti i livelli.

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