Il Consiglio di Stato blocca l’operazione edilizia della Ma.S.To. ai Colli di San Pietro
Sull’immobile ubicato ai Colli di San Pietro di proprietà della Ma.S.To. Srl incombe il rischio della demolizione a seguito dell’ultima sentenza del Consiglio di Stato che ha sancito la natura abusiva della struttura dove, a seguito di condono da parte del Comune di Piano di Sorrento e a una successiva autorizzazione a costruire, si sarebbero dovuti realizzare 17 appartamenti secondo il progetto della Saec Srl dell’ing. Antonio Elefante.
Italia Nostra, difesa dall’avv. Francesco Saverio Esposito, ha visto accolto l’ultimo ricorso presentato al Consiglio di Stato la cui VI Sezione, presidente Sergio De Felice, ha decretato che la struttura non poteva essere condonata e che quindi sono nulli i permessi a costruire rilasciati dal comune sulla base della legge regionale “piano-casa“.
Un brutto colpo per i proprietari delle due strutture interessate all’operazione, difesi dall’avv. Ferdinando Pinto, per il Comune di Piano di Sorrento difeso dall’avv. Erik Furno, per il Ministero della Cultura e per la Soprintendenza di Napoli che avevano dato l’ok all’operazione per la quale le due unità di oltre 3mila metri cubi, con originaria destinazione a deposito e uso artigianle con box animali, erano state oggetto di variazioni di destinazioni d’uso propedeutiche all’ultima operazione che avrebbe trasformato le due strutture in una complesso residenziale di lusso.
Secondo il Consiglio di Stato: «Dalla verificazione disposta in primo grado risulta che l’edificio è stato integralmente traslato. In particolare, rispetto alle tavole allegate alla licenza del 1976 la distanza della stradina laterale è pari a 16 metri, mentre, nello stato di fatto, la distanza è pari a 2,50 metri, in corrispondenza dello spigolo sud-est dell’edificio, e a circa 4 metri in corrispondenza dello spigolo nord-est. Inoltre, il primo piano presenta una larghezza superiore a quanto previsto dagli elaborati, ottenuta in ragione dello spostamento delle pareti verticali. In ultimo, vi sono variazioni dei prospetti del primo e del secondo piano. Ora, queste rilevanti difformità non sono state oggetto, invero, della domanda di condono che, come spiegato, si è limitata al mutamento del cambiamento di destinazione d’uso e alla realizzazione del piano interrato». La sentenza, di certo rivoluzionaria, sancisce la possibilità per i terzi e per le associazioni ambientaliste di impugnare, anche a distanza di anni, un condono fondato su falsi presupposti e l’onere per il presentatore di inquadrare con la domanda a suo tempo presentata nella corretta tipologia l’abuso da sanare senza possibilità di modificarla dopo il termine di scadenza fissato dalla legge per il deposito dell’istanza ex art.31 l.47/85. Un termine evidentemente fissato a pena di decadenza e, dunque, ineludibile. E’ evidente che con i paletti posti dal CdS la domanda dovrà essere rigettata con conseguente ordinanza di ripristino.