De profundis M5S: il cupio dissolvi grillino e la fine dell’illusione populista
di Raffaele Lauro (*)
1. L’AVVIO DEL DECENNIO GRILLINO (2013-2018). IL TRIONFO POPULISTA.
1. Dopo il ventennio fascista, il cinquantennio della prima repubblica, il quasi ventennio dell’incompiuta (e irrisolta!) seconda repubblica, volgerà al termine, nel 2023, il “decennio grillino”, caratterizzato dal battesimo istituzionale del movimento nel 2013 e, poi, dal trionfo elettorale del 2018, come partito maggiormente rappresentato in parlamento. Un quinquennio, quello 2013/2018, dominato, nella guida del movimento, dalla visionarietá strategica dell’imprenditore Gianroberto Casaleggio, teorico della democrazia diretta (digitale) e della decadenza ormai irreversibile della democrazia parlamentare, nonché, a riempire le piazze-spettacolo, anche con gesti epici di evocazione maoista (la nuotata nello Stretto di Messina!), dagli istrionismi affabulatori dei “vaffa” di Beppe Grillo e dalle sperimentate boutate da palcoscenico, di un comico di successo, il quale irride tutto e tutti. Gianroberto e Beppe, i due cofondatori del Movimento Cinque Stelle! Un movimento anticasta, anti-ideologico e antieuropeista, che, in un tripudio di slogan populistici, qualunquistici e giustizialistici, condanna e mette alla berlina i vecchi partiti. E aggredisce verbalmente i loro leader politici, giudicati corrotti, decadenti e traditori della volontà popolare, barricati, come sono, nella chiusa opacità del “palazzo” e delle istituzioni, falsamente democratiche, intenti esclusivamente a conservare il loro potere e a difendere i loro privilegi, cumulati nel tempo.
Satire sanguinose e sferzanti “contro” le obsolete categorie ideologiche di destra, di centro e di sinistra, che scatenano applausi, risate e si traducono, in un crescendo, in moti di simpatia popolare e in consenso. Un consenso, diffuso e moltiplicato dal legittimo, ancorché ingenuo, entusiasmo di centinaia di giovani proseliti, operanti attraverso la nuova cultura digitale e il loro tamtam sul web, con l’abile utilizzo dei social, sotto la guida “profetica” del loro guru Casaleggio, il quale, poi, scompare per malattia nel 2016 lasciando il figlio Davide al timone della società informatica, consulente del neomovimento. Nell’anfiteatro digitale, un novello Colosseo, vengono condannati al patibolo virtuale, senza appello e senza difesa, i “nemici” di destra, di centro e di sinistra, in quanto parassitari fruitori del vecchio regime da abbattere. Da abbattere, certo, senza compromessi con nessuno di essi, senza alleanze spurie e senza programmi al ribasso con i residuati delle tramontate ideologie ottocentesche, a costo di rimanere sempre all’opposizione. Questo tsunami “destruens” va a impattare su una parte rilevante del corpo elettorale, in particolare su quel ceto medio, disilluso dalle mancate riforme, annunziate e mai realizzate dal ceto politico dominante (berlusconismo, prodismo e renzismo), che si è alternato al governo del paese, senza tangibili risultati, scettico e tartassato anche dalle ricorrenti crisi economiche, tentato ormai soltanto dall’astensione.
In tal modo, sotto la regia unica, indiscussa e intoccabile di Grillo, il quale emana, dal suo “sacro” blog, indirizzi, editti e condanne, il gioco verbale dei “progetti rivoluzionari’, dei “cambiamenti epocali”, della “trasparenza totale” e delle “facili illusioni”, in uno scontro demagogico al rialzo con il nemico leghista, anch’esso antisistema, populista e sovranista, riesce. Il colpo va a segno contro la destra, il centro e, implacabilmente, contro gli irriducibili nemici della sinistra. Questi ultimi, dal canto loro, proclamano l’assoluta incompatibilità con quel movimento, considerato come un tragico incidente della Storia. Con il trionfo elettorale, entrano in parlamento centinaia di rappresentanti, pieni di “fervore giacobino”, senza radici politiche e senza esperienze pubbliche pregresse. Per cui, l’esercizio del potere, al governo e in parlamento, e il duro confronto con la complessa realtà dei problemi da gestire, si incaricano, da subito, di mettere alla prova la superficiale fragilità delle loro promesse elettorali, il facilismo dei loro proclami, enunciati come risolutivi, e un dilettantismo incompetente nella gestione quotidiana della cosa pubblica. In poche parole, si intuisce che il nostro paese dovrà pagare un pesante scotto all’infantilismo, politico e governativo, del Movimento Cinque Stelle. La nuova legislatura esordisce, così, tra entusiasmi e preoccupazioni, rivelandosi, ben presto, un percorso travagliatissimo!
2. IL TEMPO DELLA PROVA. I GOVERNI A GUIDA GRILLINA (2018-2021). IL TRASFORMISMO DI CONTE. L’INIZIO DELLA DIASPORA.
I risultati elettorali del 2018, frammentati a causa di una riforma elettorale di compromesso, tra maggioritario e proporzionale, senza una maggioranza politicamente omogenea, evidenziano il pericolo di una paralisi istituzionale, con la possibilità di uno scioglimento del parlamento e di un immediato ritorno alle urne. Dopo complesse trattative, anche sotterranee, e colpi di teatro, viene fuori un accordo inattendibile, tra il M5S e la Lega, una maggioranza di governo “giallo-verde”, con un programma scritto, punto per punto, tra diffidenze reciproche: una fredda sommatoria delle pretese di ciascuna componente a varare solo leggi di spesa, identitarie delle rispettive promesse elettorali, tra le quali, ad esempio, il reddito di cittadinanza e la quota 100, senza una visione strategica e di legislatura dell’attività di governo, anche sul piano dell’indebitamento pubblico. Un’alleanza spuria, falsa e incoerente tra ex-nemici, dettata soltanto dalla vocazione comune alla presa del potere, che svela, per entrambi, ben presto, il tradimento di proclamati principi e una vocazione trasformistica. Viene chiamato, inoltre, dai vertici del movimento, cioè dall’Elevato Grillo, a guidare e a coordinare il governo, un avvocato-docente universitario, senza alcuna esperienza politica e gestionale di grandi apparati, Giuseppe Conte, presidiato da due vicepresidenti-guardiani, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Rimane inascoltata qualche voce “amica” del movimento, che suggerisce invano la scelta, come premier, di una personalità, prestigiosa e sperimentata, nonché l’impiego di civil servant esperti, a supporto dei ministri grillini, neofiti.
Non a caso, alcuni commentatori politici qualificano Conte, come un Re Travicello, un burattino etero-diretto e sotto controllo. Un’attenta campagna mediatica da Palazzo Chigi, tuttavia, gestita da un team guidato da Rocco Casalino, con l’utilizzo, dirigista e lottizzatorio, del servizio pubblico, che fa impallidire i lottizzatori del passato, trasforma il premier in “avvocato del popolo”, che assume, sempre più, le sembianze di un Re Leone: da burattino a burattinaio. Ben presto i conflitti di potere nella coalizione, tra le diverse anime (si fa per dire!) diventano insostenibili, fino a quando il ministro dell’Interno Salvini, confortato dalla sua affermazione nei sondaggi e del suo partito alle elezioni europee, provoca, con una mozione di sfiducia, una crisi di governo, aspirando apertamente a elezioni anticipate per incassare, nelle urne, del consenso acquisito. Il calcolo salviniano si rivela del tutto errato, in quanto Conte, il nuovo Re Leone, non solo lo insolentisce e lo bastona in pieno parlamento, ma, con un secondo giro di valzer, ancora più disinvolto e inatteso del precedente, degno del più realista dei politicanti emeriti, si allea, con un rovesciamento delle alleanze e tra l’incredulità generale, con il super nemico di sinistra, il PD, tanto odiato e ingiuriato quotidianamente, sul web, dai militanti grillini. Il 5 novembre del 2019, infatti, presta giuramento, con il suo secondo gabinetto, il Conte II, sostenuto da una coalizione M5S, Partito Democratico e altri: dalla maggioranza giallo-verde, oplà, a quella giallo-rossa! Lo stigma del trasformismo politico ai fini della permanenza al potere fine a se stessa viene confermato e inizia a provocare la prima, anche se lenta, diaspora dei parlamentari grillini, duri e puri, che vedono in Conte il traditore dei loro principi fondanti!
Conte diventa, in tal modo, persino l’idolo dell’ala post-marxista del democratici, fino a essere proclamato, in seguito, come “il punto di riferimento di un’alleanza di centro sinistra, riformista e progressista”. Grillo avalla, ma comincia a temere l’eccessivo rafforzamento politico-mediatico del premier. Paradossalmente, l’arrivo della pandemia, nonostante gli errori clamorosi di gestione dell’emergenza sanitaria, con l’anarchia e i conflitti Stato-Regioni, e degli aiuti economici a famiglie e imprese, contribuisce a rafforzare il “mito” di Conte, supportato da un’invadenza mediatica, orchestrata sempre da Casalino, che lo aiuta a sfondare nei sondaggi. Nonostante ciò, il vanesio delirio di onnipotenza del principiante, passato dall’anonimato a essere il centro di potere, per giunta assurto nei consessi dei leader mondiali (anche colà assistito dall’onnipresente Casalino!), l’arroganza nei confronti delle diverse componenti della sua maggioranza, le nomine a raffica di persone di fiducia e di fedeltà personale, collocate nei centri nevralgici degli apparati, gli sbandamenti nella politica estera, gli errori di politica industriale, la crisi economica galoppante, non controllata, e l’incapacità di tenere sotto controllo la dilagante pandemia, gli provocano, ad iniziativa di Matteo Renzi, una crisi della sua maggioranza, nonostante i suoi tentativi, falliti, di mobilitare frange di parlamentari, i neo responsabili di berlusconiana memoria, disponibili a supportare il governo ormai allo sbando, perché timorosi di veder cessare anzitempo il loro mandato parlamentare!
Conte è costretto a salire al Quirinale e a rimettere il mandato, perdendo il timone del potere. Il presidente Mattarella prende in mano le redini della crisi, si appella all’unità dei partiti per evitare il baratro al paese e nomina primo ministro Mario Draghi, ex presidente della BCE, con il sostegno di una maggioranza eterogenea, ma ampia, di unità nazionale, per portar fuori il paese dall’emergenza pandemica da Covid-19, per recuperare e riscrivere il Pnrr e ottenere i 200 miliardi di euro, necessari a rilanciare l’economia nazionale e per ripristinare l’immagine internazionale dell’Italia, alquanto sfregiata! Conte viene, di fatto, defenestrato, nonostante estremi tentativi trasformistici, mentre la diaspora dei parlamentari grillini “traditi” va a ingrossare i gruppi misti. L’opinione pubblica assiste speranzosa alla nascita di una nuova maxi-maggioranza, con tutti dentro, a partire dai gialli, dai verdi e dai rossi, tranne il partito di Giorgia Meloni. Si capisce, comunque, che il governo Draghi sia l’ultima chance per salvare una legislatura disgraziata e per realizzare le attese riforme strutturali, necessarie per superare la crisi economica. Un governo che segna il declino irreversibile dell’esperienza grillina, preludio di ulteriori disgregazioni, che si manifesteranno, nel giugno 2022, con la clamorosa scissione Di Maio, che dimezza i gruppi parlamentari del movimento.
3. IL “CUPIO DISSOLVI” DEL M5S. IL GOVERNO DRAGHI FINO ALLA SCISSIONE DI MAIO (2021-2022). LA FINE DELL’ILLUSIONE POPULISTA GRILLINA.
Nonostante le continue fibrillazioni, talora al limite della provocazione, di alcune componenti della cosiddetta maggioranza di unità nazionale, in particolare della componente grillina e di quella leghista, il cammino del nuovo governo, a guida Draghi, procede, non senza stop e mediazioni sul programma riformatore, enunciato all’atto dell’insediamento, forte del prestigio, nazionale e internazionale, nonché dell’impegno solidale dei membri del governo di ogni parte politica. Con garbo smonta, pezzo dopo pezzo, il sistema di potere creato da Conte, sostituendo i suoi uomini di fiducia negli apparati di gestione dell’economia, della pandemia e della sicurezza democratica (emblematica la sostituzione di Domenico Arcuri!), nonché riducendo, nei vari provvedimenti finanziari, i danni provocati dai mancati obiettivi delle cosiddette “riforme” dei due governi precedenti: dalla quota 100 al reddito di cittadinanza, dal cashback al superbonus, senza parlare delle riforme strutturali, a partire dalla giustizia. Tutto il castello di sabbia, costruito da Conte in tre anni, comincia a franare, alimentando il suo livore vendicativo, neppure più mascherato, aizzato quotidianamente dai suoi aficionados, che arrivano a definirlo “vittima” di un colpo di Stato bianco. Pesa, inoltre, come un macigno, il giudizio lapidario di Grillo, sulle “incapacità” dell’ex-premier, con il quale insorgono contrasti sul nuovo statuto e sugli equilibri di potere, riferiti al nuovo presidente. Il movimento vive, quindi, un altalenante anno di fibrillazioni e di ulteriori fughe dai gruppi parlamentari, mentre Conte tronca la collaborazione con l’erede di Casaleggio e stenta a consolidare la sua leadership nella riorganizzazione del movimento, ormai palesemente in crisi di identità: tra i governisti filo-draghiani, i neocontiani antidraghiani, i massimalisti, gli irriducibili simpatizzanti del negazionismo dei novax e dei nogreenpass, in concorrenza con i filosalviniani della Lega.
L’astio contiano trova un primo momento topico, contro Draghi, nelle trattative, fallite anch’esse, per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Vicenda che si chiude fortunatamente, il 31 gennaio 2022, con la rielezione di Mattarella. Ormai i fuoriusciti ex-grillini e i grillini, rimasti nell’ex ex-casa madre, pensano soltanto a garantire la continuità della legislatura, per non perdere l’odiato (quello degli altri!) vitalizio e, per un anno ancora, fino a maggio 2023, l’indennità parlamentare, le diarie e i rimborsi spese. Anche perché sono consapevoli che la loro riforma del parlamento, la più sfigata di tutte, cioè il taglio irrazionale dei senatori e dei deputati, condannerà la maggior parte di loro a non essere rieletti, a trovarsi un lavoro o a tornare, secondo l’adagio popolare, a “zappare”! Da anticasta, abolitore di privilegi parassitari (altrui!), della povertà e di un mandato parlamentare, concepito come mestiere e permanente sinecura, il Movimento Cinque Stelle si trasforma in una nuova tipologia di casta, che aspira a rinnegare anche la sua regola-pilastro, escludente un terzo mandato. A febbraio 2022, il 24, si verifica un nuovo evento epocale dopo la pandemia, destinato a sconvolgere gli equilibri mondiali e a mettere sotto tiro il governo Draghi sulla politica estera italiana: l’aggressione militare russa dell’Ucraina e la minacciosa sfida di Putin al mondo occidentale. Una guerra micidiale che fa esplodere il carovita, il costo delle materie prime, delle bollette e dei beni di prima necessità, con una crescita tendenziale, nel giro di soli quattro mesi, dell’inflazione annua al 10%. Una prospettiva devastante, che minaccia, per l’autunno 2022, lo stesso ordine pubblico e fa saltare tutte le previsioni economiche, a partire dagli stessi costi dei progetti del Pnrr.
Il balletto delle irresponsabilità dei vertici grillini, cioè di Conte, che fa da pendant a quello di Salvini, espone quotidianamente il governo a tensioni, sul terreno delicatissimo delle alleanze, della NATO e delle decisioni assunte dall’Unione Europea, in materia di sanzioni contro l’invasore russo e di aiuti, in particolare con forniture di armi, per la difesa, all’esercito ucraino. I falsi pacifisti, grillini e leghisti, nonché i nostalgici vetero-marxisti dell’Unione Sovietica, alimentano una campagna di odio contro l’Occidente, la NATO e le decisioni, non sempre tempestive e unanimi, del Consiglio Europeo. Il nemico, per loro, non è il sanguinario dittatore del Cremlino, ma l’imperialismo americano. Draghi tiene la barra dritta, ma le ambiguità di Conte mettono, di frequente, in pericolo la stabilità del governo. L’ex Re Travicello, divenuto Re Leone al potere, appare ormai come un Re Tentenna. Provoca, minaccia e, poi, rientra, conscio che una crisi di governo sulla politica estera sarebbe l’harakiri definitivo del movimento. La tensione arriva al punto da consentire a Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, di sancire abilmente, con una scissione massiccia, la separazione dei destini degli atlantisti e filodraghiani, che a lui fanno riferimento, dai pacifismi contiani antidraghiani. Il trionfo del 2018 è in cenere e Conte rimane alla testa, si fa per dire, di soli 167 parlamentari dei 332 iniziali, passando da partito più rappresentato a secondo partito, dopo la Lega. E la disgregazione non può considerarsi, ad oggi, conclusa. Il “cupio dissolvi” del M5S perviene, così, al suo ultimo atto, in attesa del verdetto elettorale del 2023, o magari anticipato, che tutti i sondaggi lasciano prevedere come catastrofico. La fine dell’esperienza populista dei grillini, durata un decennio, passerà alla storia politica italiana come espressione di infantilismo, di dilettantismo, di trasformismo e di tradimento dei propri principi fondanti (basti ricordare che il movimento era nato proprio come lotta al trasformismo parlamentare della precedente legislatura!). E la XVIII legislatura repubblicana sarà ricordata come la più inconcludente, ininfluente e contraddittoria della storia repubblicana.
POST SCRIPTUM
Mentre l’inflazione al 10 % tendenziale sta decimando redditi e salari, mentre si prepara la settima ondata epidemica, in piena estate, e mentre la guerra russo-ucraina rischia di diventare un conflitto globale, conforta veramente la prospettiva che il leader di quel che resta del M5S, Giuseppe Conte, riuscirà ad ottenere, domani, nel colloquio con Draghi, a Palazzo Chigi, piena soddisfazione e riparazione alle offese subite dallo scandalo, montato e diffuso ad arte, dalla cricca dei suoi fanatici sostenitori, sulle presunte interferenze e richieste del premier al comico genovese della sua testa. Un’altra commedia degli equivoci nel teatrino dei cinque stelle! Altro pregevole esempio di encomiabile riservatezza e di senso delle istituzioni dei vertici del movimento! Così il M5S potrà continuare a sostenere il governo Draghi, con alternanti tentennamenti e colpi di teatro, mentre la sua agonia politica si prolungherà ancora per un anno, senza modificare, anzi aggravandone, l’esito finale! Al contrario, se l’ego ipertrofico di Conte non uscirà placato da Palazzo Chigi e arriverà a provocare una crisi di governo, nella tempesta che stiamo attraversando, il movimento si risparmierà certamente l’agonia di un anno, ma consumerà un suicidio politico da manuale.
(*) Segretario Generale di Unimpresa