Campania,  Italia

C’erano una volta gli artigiani!

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di Luigi Poi

Il campanello d’allarme era squillato da parechio e chiunque negli ultimi tempi si è trovato in una situazione emergenziale causata da rottura o mal funzionamento dell’impianto idraulico o elettrico, da una porta incastrata, da un pantalone da accorciare o quant’altro attiene al quotidiano buon funzionamento della casa o dell’impresa, lo sa bene! I dati sono preoccupanti e risalgano ad alcune errate scelte in materia di istruzione scolastica e a una insistente perversione ideologica che ha portato all’abbattimento delle antiche regole di fare apprendistato nelle botteghe artigiane. Il resto lo ha fatto la poca predisposizione delle nuove generazioni al sacrificio e la legittima aspirazione di vedere i propri figli fare un salto di qualità nella scala sociale con un impegno lavorativo e professionale più agevole e meglio remunerato.

In effetti ci sono più avvocati, psicologi, sociologi e letterati vari che artigiani. Sono attualmente 237.000 gli avvocati mentre solo 180.000 mila gli idraulici! Per non parlare di categorie oramai ridotte al lumicino come sarti, pellettieri, tappezzieri, calzolai, fabbri, falegnami, ceramisti e cosi via. Il 20 agosto u.s. la Confartigianato ha quantificato, dati alla mano, che nel 2012 l’Italia poteva contare sul prezioso apporto all’economia ed al benessere ed alla sicurezza delle famiglie e delle imprese, su 1.867.000 artigiani che però, in dieci anni si sono ridotti a 1.457.000 (410.000 in meno). La stessa confederazione segnala che la perdita di questa preziosa risorsa lavorativa continua anche negli anni in corso con una media di 70.000 unità all’anno. Una tendenza che non fa distinzione territoriali, tutte le regioni italiane marcano una perdita tra il 23 e il 30%! E il fenomeno non riguarda solo il singolo artigiano, ma anche le aziende operanti nel comparto artigianale (dalla falegnameria all’idraulica passando per la meccanica etc. etc.) che nel 2023 erano registrate per un numero di 1.258.079, ben 230.000 in meno rispetto a dieci anni prima. Non ne soffrono solo le famiglie per la mancanza di assistenza nella emergenza, piccola manutenzione, lavoretti vari, ma anche, per esempio, il settore edilizio, in forte espansione dopo il Covid, che sperimenta pesantemente le difficoltà a trovare mano d’opera esperta e disponibile come posatori, intonacatori, carpentieri, lattonieri, installatori.

La perdita, poi, di botteghe artigiane più specifiche come corniciai, sartorie, intarsiatori, restauratori, ciabattini, vasai, decoratori, in uno con la crisi del commercio al dettaglio contribuisce a rendere più “buie“ e meno sicure le strade cittadine e a togliere introiti all’INPS aggravando la già paventata preoccupazione per la stabilità dei futuri conti delle Ente previdenziale, sollevando il quesito  (proposto dal Ministro Georgetti): “chi pagherà tra un decennio i contributi per mantenere il sistema pensionistico?“. E se il lettore lo consente, più romanticamente, vale veramente la pena perdere le vecchie tradizioni artigianali e l’antica sapienza del lavoro manuale? E il buonismo scolastico che sta affollando le università moltiplicandole all’infinito sia territorialmente sia on-line è veramente la ricetta giusta per favorire un futuro ai giovani? In un attento studio pubblicato dalla CGIA (19 agosto 2024) si è messo il dito sulla piaga anche per quanto riguarda la connessione tra la decadenza dello storico tessuto cittadino e l’abbandono dei vecchi mestieri basati sulla manualità artistica ed utilitaristica e sull’esperienza. “Il degrado urbano si sta allargando a macchia d’olio. Basta osservare con attenzione i quartieri di periferia ed i centri storici per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse ed altrettante le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane“. Ne sappiamo qualcosa anche noi con la scomparsa nei “vicoli storici“ delle botteghe di ceramisti, di restauro, di antiquariato, di intarsiatori, di corniciai e dei negozi di vicinato ad esse collegati. Nelle cittadine turistiche le insegne non si sono spente, non si registra il deterioramento delle città ma comunque un abbruttimento si nota e come! Prevalgono friggitorie, cibi da asporto, cucine etniche, bazar cinesi e quant’altro fa rima con omogeneizzazione dei gusti, impoverimento e sottrazione della cultura locale, estirpazione delle tradizione, mortificazione dell’esperienza e della bellezza del lavoro a mezza strada tra artigianale ed artistico che era uno dei punti di forza dell’immagine tricolore nel mondo e che da sempre hanno aiutato a conservare l’identità e la memoria di una comunità e che hanno fortemente inciso, nell’era di internet e del commercio online, a salvare il salvabile della coesione sociale di un territorio.

Polemicamente se si facesse un consistente passo indietro nella storia recente si potrebbero individuare una serie di errori madornali che vanno come al solito addebitati ad eccessi ideologici, a parole d’ordine campate in aria e finalizzate al solo consenso elettorale, alla crisi della famiglia che spesso ha ostacolato l’insegnamento del mestiere ai figli, alla pressione fiscale e contributiva troppo accanita su questi tipi di mestieri, alla mancanza di ammortizzatori sociali e misure di sostegno (fondi che invece venivano dirottati per esempio verso il Gruppo Fiat con sede legale all’estero in cambio di una stampa favorevole).
I finanzieri appollaiati a poca distanza dalle vetrine invece di andare a marcare Amazon, Booking, Tripadvisor, Ebay Apple , Ikea, Illy, Luxottica, Exor, Campari e altri che furbamente hanno domicilio fiscale in Olanda, Lussemburgo o in Irlanda sottraendo all’erario italiano svariati miliardi di euro l’anno (da uno studio del 2023 Mediobanca–CGIA realizzano un bonus fiscale del 15 %). Oltre 30 miliardi di euro che sarebbero dovuto restare nelle casse italiane e che invece vengono tassati dal più leggero fisco Olandese o Lussemburghese (Ahi! Ahi! Europa, Europa). “Inutile girarci intorno, finché le regole non cambieranno, chi può farlo lo fa! Se, in maniera legale, un imprenditore può decidere di tenere nelle proprie tasche le plusvalenze generate da introiti aziendali invece che versarle all’erario chiaramente sceglierà la prima opzione” – Barbara Massaro, giornalista professionista e scrittrice.

Per ultimo, ma non ultimo per importanza, l’abolizione delle scuole di avviamento professionale e l’introduzione della scuola media unificata. Quest’ultima misura puramente ideologica e come spesso accade quando si perde il metro pragmatico ha dato il risultato inferiore. Quanto si dice che il rimedio è peggiore del male! La stessa riforma annunciata dal Governo in carica sta ritardando; si tratta di un disegno di legge che ha come oggetto la riforma degli istituti tecnici e professionali. Si sta cercando (ma quanti problemi lasciati sospesi o risolti male da troppi decenni!) di porre un margine a questa pericolosa deriva ma pare impresa ardua per la frapposizione della burocrazia europea e di una politica che guarda più a se stessa che agli interessi del popolo italiano. E anche perché nel frattempo imperano le regole comportamentali imposte dai nuovi padroni del vapore, quelle dell’usa e getta e del disprezzo sociale di chi si va un cu….così e forma calli indelebili sulle mani e matura osteoporosi alle braccia e alle ginocchia per portare il pane a casa. Resta comunque un dato che da molto da pensare, rivelato recentemente dalla ministra del Lavoro, Marina Calderone, cioè che il numero dei NEET, giovani italiani tra i 15 ed i 29 anni, che non studiano e non cercano lavoro si aggira intono al 16,50% rispetto ad una media europea dell’11% (molto preoccupante Sicilia e Campania con quasi il 30%).

Questo bacino di risorse umane inutilizzato potrebbe essere quello in cui ben pescare per andare a coprire le figure professionali legate al mondo artigianale. E infatti la ministra punta proprio su una nuova formazione professionale e in tanto è incoraggiata dai primi dati che indicano un superamento della resistenza psicologica delle famiglie in quanto le iscrizioni risultano in crescita del 157% come media nazionale ed al Sud addirittura del 340%. Una conferma viene proprio dalla Campania: “l’ITS di Capodimonte è l’ultima speranza per salvare la tradizione delle nostre ceramiche una volta che gli artigiani più anziani non riusciranno più a tramandarla“.

Lo dice Bruno Scuotto, responsabile della rete ITS per la Regione Campania (20-9-). “Far capire che non si tratta di una formazione di serie C ma un modo per i giovani di valorizzare il proprio talento“! – (Calderone) . Una scommessa assolutamente da vincere e che dipende molto dalla capacità di superare i pessimi comportamenti imposti dal consumismo (usa e getta), dal contrasto ai grandi interessi del capitalismo globale, dalla capacità di resistere agli effimeri messaggi pubblicitari, dalla rinata voglia di essere padrone delle proprie capacità, dal recupero del piacere di stabilire autonomamente modalità e orari del lavoro e di mettersi in gioco. Insomma è necessario un cambio di mentalità sia di chi governa (troppi errori nel passato sia in Europa che in Italia) che delle famiglie e dei giovani. Errare è umano, ma perseverare è diabolico e in agguato ci sono sempre visioni ideologiche campate in aria, ostacoli burocratici, aspirazioni al posto fisso, beceri interessi di tante multinazionali importatrici di prodotti artigianali dall’Oriente, l’eccesso dei costi iniziali per acquisire ed attrezzare “la bottega“. Insomma la strada è ardua perché, come sostenuto da Ennio Flaiano, “la stupidità ha fatto progressi enormi“. Ma salvare il “soldato artigiano” è fondamentale.

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