Conflitto Russo-Ucraino: alla fine la pace ci sarà, ma non sarà una pace giusta!
di Giovanni Fiorentino
La guerra, secondo la classica definizione di Carl von Clausevitz, è la continuazione della politica di uno Stato fatta con altri mezzi. Se si pensava che l’esperienza di due guerre mondiali e la costituzione dell’ONU, ma più ancora il fenomeno della globalizzazione, avessero marginalizzato la sua valenza limitandone la riferibilità a conflitti regionali o locali più spesso ignorati, l’operazione militare speciale della Russia in Ucraina ne fa riemergere la centralità ricordando al mondo intero come la volontà di potenza sia incompatibile con ogni prospettiva di soluzione negoziata dei conflitti.
L’Ucraina nasce sostanzialmente come Stato solo nel 1991 a seguito della dissoluzione e del conseguente depotenziamento dell’Unione Sovietica, nella quale era compresa; prima ancora il suo territorio fino al 1917 era parte della Polonia ad ovest e della Russia ad est, tant’è che la sua popolazione prevalente in Crimea e nel Donbass è di etnia russa. Come spesso accade nelle periferie, in specie laddove i diritti civili sono scarsamente garantiti, le regioni russofone hanno sempre aspirato ad una maggiore autonomia se non ad un ricongiungimento con la Russia. Quest’ultima, a sua volta, avendo nel tempo recuperato parte della sua forza e della sua influenza internazionale e mal sopportando la sua marginalizzazione nei territori già nel suo dominio, dopo che l’Ucraina ha rivolto l’attenzione all’Occidente allentando sempre più i suoi legami antichi, ha colto la funzione di tutela dei popoli russofoni quale pretesto per invadere ed annettersi la Crimea e per tenere fin dal 2014 in fibrillazione il Donbass.
L’intervento militare diretto o di sostegno limitato a regioni russofone, nonostante fosse lesivo della sovranità nazionale ucraina e dell’ordine internazionale, non provocò una forte reazione occidentale; di conseguenza nel febbraio scorso la dirigenza russa, interpretando anche il desiderio popolare di revanche proiettato sul mito della “Madre Russia”, ha espanso i propri obiettivi mirando a fare con una guerra lampo incentrata su Kiev dell’Ucraina uno Stato satellite e ponendo l’Occidente di fronte a un fatto compiuto. Così non è stato, in quanto sorprendentemente Zelenski è restato al suo posto, la classe dirigente non è implosa e la difesa della patria ha impegnato tutto il popolo ucraino.
Il fallimento di tale obiettivo primario ha comportato molteplici conseguenze: sul fronte russo, ha costretto gli invasori a restringere il perimetro della propria azione concentrandola nel Donbass e determinato nei soldati un senso di sfiducia che va via via acuendosi ed espandendosi anche nei confini della madre patria. Sul fronte ucraino ha ancora più rafforzato la determinazione a resistere e contrattaccare confidando in una vittoria totale con l’aiuto concreto dell’Occidente e l’impiego di armi sofisticate che fanno la differenza; sul fronte europeo ed occidentale, ha dato consapevolezza che la guerra in Ucraina vuole essere un tassello di un disegno egemonico che mira all’Europa ed ai suoi valori identitari e, di conseguenza, ha reso più forte la coesione degli Stati europei a fronte di un nemico comune.
Come sempre accade, per questo stato di cose a soffrire di più è la popolazione civile della zona di guerra, martoriata dalle bombe e dall’uso terroristico delle armi; ma, anche se non allo stesso modo, per l’interdipendenza economica connessa alla globalizzazione, le conseguenze negative dello stato di belligeranza sono generalizzate e si riverberano sulle condizioni di vita dei cittadini non solo degli Stati interessati ma del mondo intero ed in particolare dell’Europa, per la sua dipendenza dal gas e dal petrolio russi.
La voce della ragione non ha ingresso in una guerra inconsulta e dagli sviluppi imprevisti e imprevedibili che, non declinando la parola pace perché sia Putin che Zelenski non devono perdere, sta riportando in dietro di cent’anni le condizioni di vita del mondo intero, spingendo verso la catastrofe ecologica il pianeta e, ove si faccia ricorso ad armi estreme, verso l’autodistruzione la vita come noi la conosciamo. Eppure, qualora gli interessi egemonici e sovranisti non avessero colto quale pretesto la tutela delle minoranze filorusse dell’Ucraina e si fossero contemperati con una concreta e corretta attenzione a tali esigenze, quella problematica reale avrebbe già avuto un’equa soluzione, ora resa più complicata e quasi impossibile dallo stato della guerra in atto.
Purtroppo le speranze di pace sono ora legate all’implosione degli assetti istituzionali di Russia o Ucraina: il primo, più probabile, per lo scollamento del sistema di potere esistente a seguito di dissensi interni connessi al non positivo andamento della campagna militare o al venir meno del consenso ad una guerra foriera di gravi disagi sociali, ma soprattutto di rischi personali per una larga parte della cittadinanza che finora se ne riteneva immune; il secondo, meno probabile, per lo sfinimento di un popolo martoriato che vede nella resa la prospettiva di un recupero di condizioni di vita più normali o per il venir meno degli essenziali aiuti militari di un Occidente che non vuole rinunciare ai suoi agi prolungando il conflitto.
Comunque vadano le cose, alla fine, ma chissà quando, una pace vi sarà; tuttavia, comunque vadano le cose, non sarà una pace giusta.