Italia

Proviamo a riflettere sulle vere ragioni del successo della Meloni e della sconfitta degli altri…

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Ora che i giochi elettorali sono fatti e la volontà degli elettori si è concretizzata con l’attribuzione dei voti e, di conseguenza, dei corrispondenti seggi parlamentari, proviamo a sviluppare una breve riflessione su questa tornata elettorale autunnale che ha consegnato l’Italia alla destra guidata da Giorgia Meloni. Premier in pectore, la leader di Fratelli d’Italia ha raccolto uno strepitoso successo che non è dovuto solo al fatto di essere stata per cinque anni all’opposizione intercettando il malcontento sociale e dando voce ad esso (in molti passaggi parlamentari, sia nella stagione covid sia in quella bellica in corso, FdI ha sostenuto il governo-Draghi e qualla no-vax), ma anche al pressante marketing mediatico orchestrato dai media allineati (il 98%) che l’hanno trasformata e somministrata all’opinine pubblica come l’unica novità politica in grado di cancellare dalla scena il vero e unico suo concorrente, cioè Giuseppe Conte nuovo leader del Movimento 5 Stelle.

Giuseppe Conte

Un obbiettivo che ha visto compattarsi l’intera casta politica-istituzionale: dagli avversari e pseudo alleati come il PD di Enrico Letta, al capo del governo Mario Draghi approdato al presidenza del consiglio con un vero e proprio colpo di mano del capo dello Stato Sergio Mattarella che non può ritenersi estraneo al grande complotto che alla fine ha prodotto il successo meloniano. Al Ministro degli Esteri non rieletto Luigi Di Maio i “congiurati” hanno assegnato il compito di affondare la sua stessa creatura per estromettere definitivamente dai giochi Conte. La cui principale colpa, oltre a quella di godere di un diffuso e costante consenso dell’opinione pubblica, è quella di essersi dichiarato contrario alla guerra russo-ucraina, all’invio di altre armi a Zelensky, di non accettare la sottomissione passiva agli USA e alla NATO (dove probabilmente sta per approdare Draghi dopo l’investitura statunitense frutto del suo totale asservimento agli interessi d’oltreoceano) rappresentando una minaccia per l’establishment nazionale e internazionale tutto proiettato a una guerra a oltranza contro Putin, anche a costo di un’escalation nucleare. Tant’è che di guerra, di Ucraina e di tutto il resto non se n’è parlato in campagna elettorale essendo tutti concordi, ad esclusione di Conte e di qualche altra realtà minore, nel condurre avanti un’offensiva che sta mettendo in ginocchio l’Italia e gli Italiani più di altri paesi europei.

Enrico Letta

La sconfitta del PD di Enrico Letta è stata l’unica certezza di questa competizione elettorale dopo le infauste decisioni di divorziare da Conte e quindi di spianare la strada alla peggiore destra dal dopoguerra ad oggi. Il tentativo in extremis di “intimorire” l’elettorato puntando l’indice sulla Meloni post-fascista e sui rischi di una deriva fascista per l’Italia sono abortiti miseramente in un Paese che si è fatto suggestionare dal leit motive anti-contiano sul reddito di cittadinanza in nome del quale destra e sinistra hanno cercato di marginalizzare Conte e i 5 Stelle. I quali, diversamente da tutte le previsioni, hanno raggiunto quasi il 16% dei consensi prevalentemente al Sud dell’Italia. Una ragione in più per il sistema di combattere Conte e i 5Stelle e con essi il Mezzogiorno d’Italia orfano di un’eterogenea rappresentanza politico-parlamentare.

Una politica sana e realmente preoccupata per le sorti del Paese avrebbe proposto agli elettori un confronto tra la Meloni e Conte, quest’ultimo legittimo e credibile rappresentante delle forze autenticamente democratiche e di una sinistra progressista e moderna, coerente con una visione solidale della politica nazionale e internazionale, in grado di giocare un ruolo da protagonista su tutti gli scenari per addivenire a una composizione del conflitto russo-ucraino.

Così non è stato e oggi l’Italia, ancora una volta, si prepara a pagare un prezzo salatissimo per le scelte di un Paese che tra astensionismo e protesta civile ha lasciato campo libero al trittico Meloni-Salvini-Berlusconi nella stagione più critica della storia repubblicana.

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