Italia

Il consenso sviato

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di Giovanni Fiorentino

In un recente articolo su “Politica in penisola”, che trasuda delusione e sconcerto sotto una patina di briosa ironia, Luigi Poi giustappone alle serie preoccupazioni della maggioranza degli italiani per le difficoltà della vita quotidiana le modalità dell’offerta politica in occasione delle prossime elezioni, appannaggio di un coro unanime di “piazzisti” intenti a superarsi l’un l’altro in promesse tanto mirabolanti quanto irrealizzabili, che per ciò stesso nessuno pensa possano realizzarsi. E rileva per contro come, a fronte del mercimonio di chiacchiere, non mancherà alla classe politica offerente e ai suoi sodali la preservazione e/o la riscossione di un più che adeguato reddito politico.
La lettura dell’articolo fa ritornare alla mente gli albori del ‘900, quando si inneggiava al futuro politico declamando che
Avremo la ricchezza generale
e la felicità che niiun sa dire.
I monti scorreranno latte e miele,
il mare sarà tutto una sciampagna..
A sognare allora tale scenario, che si sarebbe realizzato
quando sarà abolito il capitale
e splenderà il bel sol dell’avvenire
erano socialisti ed anarchici, che almeno erano in buona fede e ci credevano davvero, e sappiamo come è finita: ora a promettere mirabilie sono indifferentemente destra e sinistra, anche se in questa tenzone la prima è meritevole della palma d’oro.

La denunzia di Poi suscita tuttavia riflessioni ed interrogativi di non poco momento che involgono le cause del fenomeno e ipotizzano rimedi in grado di eliderle o quanto meno mitigarne gli effetti. Non essendo in questa sede possibile un approfondimento serio, che richiederebbe analisi complesse e spazi argomentativi non comprimibili in un articolo breve, mi limito a rilevare che un siffatto degrado era del tutto inconcepibile nella cosiddetta prima repubblica, e ancor più nei primi anni della sua esistenza, altre essendo la competenza e la serietà della classe politica e modulandosi organicamente il programma elettorale dei partiti su principi ideali e visioni di medio-lungo periodo e non invece sulla capacità adattativa, in quanto tale ondivaga e provvisoria, volta a recepire pretese di un corpo sociale naturalmente disomogeneo, intrinsecamente contraddittorie e intese alla soddisfazione di interessi immediati senza futuro.

Tale negativissimo fenomeno, per il quale la forza delle idee viene minata dal costante ammiccamento alle risultanze dei sondaggi, inverte il normale rapporto di ductus e si materializza in un populismo generalizzato per investire impropriamente della funzione propositiva il popolo stesso, che ne dovrebbe invece essere il destinatario. Poiché tale situazione viene epidermicamente percepita come anomala, ne discende in un continuo rincorrersi lo scadimento dell’immagine della classe politica e il conseguente tentativo di quest’ultima di ripristinare una relazione empatica con la società civile attraverso tentativi di captatio benevolentiae che aggravano il male.
Ci si trova, come è facile arguire, in presenza del serpente che si morde la coda. Ad interrompere il circolo vizioso potranno essere o un deus ex machina esterno o la resipiscenza della classe politica o del corpo elettorale o di entrambi; trattasi comunque di processi lunghi e complessi, con implicazioni che investono le modalità della partecipazione politica e lo stesso sistema elettorale, che certo non possono svolgersi nei pochi mesi che ci separano dal voto. Ai cittadini più avveduti è tuttavia dato, nel rispetto delle proprie ascendenze ideali scevre da anacronistiche considerazioni di campanile, in una competizione nella quale sono in gioco assorbenti interessi nazionali condizionati da un debito pubblico monstre gestibile senza eccessivi traumi solo con la compiacenza internazionale, di orientare per quanto possibile l’attenzione dei più su tali problematiche, cercando di distogliere il consenso da chi lusinga promettendo quel che si vuole ed indirizzandolo verso chi ricorda quel che si deve.

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