Perchè è inutile offrire alloggi gratis ai medici per venire a lavorare nei nostri Ospedali…
Nel dibattito e nelle polemiche sulle criticità della sanità ospedaliera in Penisola Sorrentina si è creato un cortocircuito che sta inquinando la discussione e che, anche per l’eco mediatica che genera, rischia di compromettere quel che resta dell’attuale, bistrattata sanità pubblica ospedaliera territoriale.
E’ necessario acquisire consapevolezza, da parte di tutti i soggetti coinvolti e interessati, del fatto che le soluzioni ai problemi devono comunque fare i conti con diverse realtà che certamente non giustificano ritardi e/o inadempienze, ma che condizionano la gestione di una partita che è tutt’altro che semplice da giocarsi e da vincersi. Proviamo a spiegarne le ragioni per contribuire al confronto con spirito costruttivo.
In primis occorre separare due temi che, invece, si sovrappongono nel confronto e cioè: le soluzioni da adottarsi per affrontare e risolvere nel più breve tempo possibile l’attuale criticità dell’organizzazione ospedaliera peninsulare; la costruzione del nuovo ospedale progettato dalla Regione Campania con tutte le problematiche annesse e connesse alla realizzazione di un’opera imponente, al di là della sua natura: un ragionamento che vale per il depuratore, per la nuova rete fognaria intercomunale, per una strada alternativa alla statale sorrentina e così via! Grandi progetti, grandi problemi!
Se si riesce a mantenere separate le due questioni, visto che la prima rappresenta un’emergenza e la seconda un’opportunità, forse ci si comincia a muovere nel verso giusto dando per scontato, però, che tutte le parti in causa perseguano il medesimo obiettivo: quello cioè di organizzare una sanità ospedaliera pubblica all’altezza del nostro tempo – siamo nel 2021 – di sodddisfare le esigenze di un territorio e della sua popolazione che coniugano interessi residenziali e turistici, di rendere coerente la politica per la sanità nell’ambito del distretto 59 con la programmazione regionale da cui, è evidente, non si può prescindere.
Infine confrontarsi con quello che si sta dimostrando essere uno dei problemi più gravi e cioè l’indisponibilità di sanitari soprattutto specialisti in branche mediche strategiche come quella di “anestesia e rianimazione” la cui carenza compromette, per ovvie ragioni, la funzionalità anche di altre branche mediche mandando così in tilt il sistema e l’organizzazione ospedaliera. Situazione che, scorrendo le cronache, è comune a tante altre realtà italiane costrette a fare i conti con la mancanza di sanitari e/o con l’indisponibilità a prestare servizio nelle strutture pubbliche.
L’attrazione offerta dal mercato della sanità privata si sta rivelando un fattore concorrenziale letale per la sanità pubblica costretta a fare i conti con tetti di spesa e retribuzioni professionali che nel privato sono invece lasciate alla libera contrattazione tra le parti.
La pandemia ha fatto salire alle stelle le quotazioni di medici anestesisti-rianimatori che certamente non abbondano sul mercato e che si sono scoperti essere merce appetibile, dotata di un forte potere negoziale, tanto maggiore se si considera il fatto che non è possibile reperire a stretto giro sul mercato sufficienti e adeguate professionalità da inserire nelle strutture ospedaliere.
Anche pneumologi e infettivologi hanno visto salire le loro quotazioni, tanto più che come avviene con gli anestesisti il loro numero è limitato e sicuramente insufficiente a garantire il funzionamento a regime dei loro reparti e di tutti gli altri dove la loro prestazione professionale è insostituibile.
Quale appeal allora può avere per uno specialista l’offerta di un appartamento gratis (?) in Costiera per lavorare a Sorrento o a Vico Equense quando ha un’ampia facoltà di scelta nel pubblico vicino casa propria e/o in una qualsiasi clinica privata dove trova lavoro super ben pagato piuttosto che in una struttura pubblica, lontano da casa, disagevole a venirci e altrettanto a restarci per le condizioni in cui versa il sistema nel suo complesso e in particolare nel settore anestesiologico? Poichè sul territorio anestesisti e specialisti residenti si contano sulle dita di un mano e per il passato ci si è permessi il lusso pure di far andar via quelli che vivevano situazioni disagiate all’interno dell’organizzazione ospedaliera peninsulare, come si può pensare che il direttore generale trovi in quattro e quattrotto la soluzione a tutti questi problemi per assicurare ai nostri ospedali tutto il personale che gli occorre e, domani, anche al nuovo ospedale a Sant’Agnello?
Quindi è sbagliato speculare su una presunta volontà politica di far decadere sempre di più gli ospedali di Sorrento e di Vico in previsione del nuovo Ospedale a Sant’Agnello perchè il problema, come si può vedere, è tutto un altro e la soluzione oggettivamente non è a portata di mano senza un cambio di strategia a monte che, partendo da queste considerazioni, operi su due fronti: sul ripristino delle conzioni di agibilità dell’esistente risolvendo i problemi interni che hanno finito con l’accentuare la crisi dell’anestesiologia nel corso degli anni; in secondo luogo di escogitare la strada per fronteggiare una criticità di sistema generale che rischia di degradare ulteriormente la qualità dell’assistenza ospedaliera pubblica e non solo in campo anestesiologico, ma anche in altre branche di attività.
Occorre restituire credibilità, appetibilità e competitività alla sanità pubblica cominciando col ripristinare le regole, garantire il rispetto delle persone e del loro lavoro, smontare rendite di posizione che sono incompatibili con una situazione così critica, rimuovere tutti gli ostacoli interni al sistema che lo hanno indebolito e compromesso nel corso degli anni. A cominciare dall’invasione di campo, non più sostenibile, della politica regionale che ha pesantemente condizionato la sanità pubblica a uso e consumo politico-elettorale in connivenza con ambienti sanitari cui questo modo di gestire il sistema ha fatto comodo e fa ancora comodo.
Teniamo presente che per l’intera stagione del commissariamento della sanità campana, durato oltre 10 anni, si sono perdute ben 15mila unità lavorative tra medici e paramedici per le restrizioni di una spesa sottoposta a una drastica cura dimagrante dopo le scempiaggini prodotte da un sistema di malversazioni che ha dilapidato risorse miliardarie.
Recuperare in tempi stretti il terreno perso è impresa complicata assai, per chiunque ci si cimenti, tanto più sotto il pressing costante di un’opinione pubblica legittimamente contrariata da deficienze che rischiano di compromettere la salute e anche la vita delle persone, tanto più dopo che la pandemia ha messo a nudo carenze e disorganizzazione un po’ dovute alla novità della malattia, un po’ al contesto in cui essa è scoppiata e che ha messo in crisi un’organizzazione solo apparentemente funzionante e funzionale.
Il nuovo ospedale è qualcosa che verrà, se verrà, in un prossimo futuro e non possono essere gli interessi individuali, di corporazione o di qualunque altra natura a impedirne la realizzazione in un contesto di sicurezza, ma che rappresenti una svolta in grado di andare oltre le deficienze attuali che difficilmente si possono colmare se si pensa di adeguare l’esistente a una moderna concezione della sanità ospedaliera post-pandemia.
Noi utenti di questa sanità dobbiamo preoccuparci che essa sia rispondente a standard moderni e adeguati al nostro diritto di usufruire di una ottima e qualificata assistenza sul nostro territorio, circostanza che oggi non è assolutamente garantita come lo confermano gli stessi sanitari consapevoli dei grandi limiti che hanno gli ospedali di Vico Equense e di Sorrento.
Quel che conta è che il distretto 59 non venga aggregato a quello stabiese, com’era nelle ipotesi di riordino in fase commissariale, ragion per cui si cominciò a lavorare a un’ipotesi di nuovo ospedale da parte di chi intendeva scongiurare il collasso dell’assistenza ospedaliera territoriale in Penisola Sorrentina.
Per questo nacque e si perseguì l’ipotesi di un nuovo ospedale da parte degli attori amministrativi locali quando alla guida della Regione c’era Stefano Caldoro, un governo di centro-destra, che accolse le richieste del territorio aprendo la strada a un percorso complicato, ma che poteva rappresentare una prospettiva. L’avvento del Presidente Vincenzo De Luca ha dato seguito ai “desiderata” dell comunità peninsulare rappresentata dalle sue istituzioni. Un’altra maggioranza politica che non ha messo in discussione l’ipotesi di nuovo ospedale, piuttosto ha messo le gambe al progetto rendendolo fattibile prima sul piano concettuale, poi su quello della pianificazione sanitaria e infine su quello progettuale e finanziario.
Tutti i problemi per la realizzazione dell’opera sono secondari rispetto al suo valore primario e il compito di politica e tecnici è quello di trovare le soluzioni ottimali per garantire che la struttura sarà realizzata in sicurezza, in tempi adeguatamente brevi, affidata a una governance sanitaria e amministrativa all’altezza della sfida. Chi continua a ragionare sul doppio binario per demolire la prospettiva con la presunzione di salvaguardare l’esistente, rende solo un cattivo servizio alla comunità che potrebbe perdere l’unica vera chance di voltare pagina e di avere nel prossimo futuro un sistema ospedaliero pubblico all’altezza della sfida e in grado di risultare anche attrattivo per i sanitari che ci lavorano e ci dovranno lavorare.