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A proposito dei caseifici della Penisola Sorrentina che riforniscono la camorra…

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Nei giorni scorsi le cronache hanno riferito di alcuni arresti di camorristi coinvolti nel business agroalimentare e che rifornivano esercizi commerciali e ristoranti di prodotti caseari acquistati a prezzi stracciati presso produttori – caseifici – della Penisola Sorrentina. La notizia ovviamente ha colpito, ma come quasi sempre accade in queste circostanze, è stata lasciata cadere senza porsi il problema di approfondirla sia  da parte della politica e delle amministrazioni locali, sia da parte di chi si occupa di agricoltura e agroalimentare a salvaguardia dei legittimi interessi degli operatori. Teniamo presente che la produzione casearia vaccina, nell’ambito della provincia di Napoli è una prerogativa quasi esclusiva della Penisola Sorrentina che nei Monti Lattari annovera i maggiori produttori di latte e  oltre 60 trasformatori (caseifici) che commercializzano il fior di latte e le altre eccellenze casearie, quelle che vengono esibite in Tv quando si parla delle produzioni nostrane di qualità. Tutto il resto è produzione bufalina, di quell’oro bianco che costituisce un’altra produzione di qualità della Campania, in particolare delle province di Salerno e Caserta con i loro hinterland.

Approfondendo i fatti si scopre che i tre caseifici interessati sono uno a Vico Equense, uno ad Agerola e un altro addirittura a Battipaglia. Di Sorrento c’è davvero poco o nulla, eppure mediaticamente è passata la notizia che trattavasi di caseifici della Penisola Sorrentina. Il problema non è di secondaria importanza visto che sempre più frequentemente varie Autorità evidenziano presenze di attori criminali sul territorio peninsulare dove agiscono prevalentemente nel settore turistico, ma soprattutto nello strozzinaggio, l’usura, che è una delle piaghe più serie che si sono accentuate a causa della crisi pandemica. Stando ai rapporti più recenti, l’usura è una delle attività criminali più redditizie – oltre al commercio della droga che vede nella Penisola Sorrentina un mercato più che fiorente – e con la pandemia è aumentato in modo esponenziale il ricorso agli strozzini da parte di quell’imprenditoria che maggiormanete ha risentito delle conseguenze del lockdown, ma anche delle famiglie. Questo nonostante i provvedimenti adottati dal Governo col sistema bancario per supportare, con le garanzie statali, il fabbisogno di liquidità che, a conti fatti, non ha assolutamente soddisfatto le aspettative delle Pmi con la conseguenza che, in questo deficit di sussistenza finanziaria, proprio la camorra ha trovato e trova terreno fertile utile a implementare in modo esponenziale il business dello strozzinaggio.

Come ha evidenziato il Prefetto di Napoli il cosiddetto “welfare criminale” si è affermato incredibilmente durante la pandemia, addirittura erogando prestiti a zero interessi che hanno aperto le porte a nuove fasce di clientela impinguando così l’economia criminale che, in questo modo, riesce a impossessarsi dei beni di chi ha ottenuto i suoi prestiti accrescendo a dismisura il proprio patrimonio e penetrando sempre più a fondo nell’economia cosiddetta legale. Nel tentativo di affermare, soprattutto da parte dell’Amministrazione del Sindaco di Sorrento Massimo Coppola, il “modello-Sorrento” deve esserci spazio anche per la salvaguardia del nome di Sorrento, perchè un brand vincente non può essere utilizzato da chiunque per l’identità della propria attività, di qualunque attività, sapendo il valore aggiunto che porta con sè la denominazione della Città del Tasso. Lo stesso dicasi per un più razionale e corretto utilizzo del nome “sorrento” e “penisola sorrentina” da parte dei media, soprattutto quando vengono associati a situazioni tutt’altro che esaltanti e gratificanti sul piano dell’immagine. C’è bisogno di distinguere, c’è bisogno che il tessuto produttivo sano, onesto e di qualità pretenda tutela e difenda i propri interessi allorquando il nome di Sorrento e della Costiera vengono impropriamente assimilati a situazioni che non gli appartengono o che nulla hanno a che fare con questo territorio.

Un “modello Sorrento” racchiude in sè una molteplicità di valori e di best practice che non possono essere pregiudicate da un uso disinvolto di nomi e di luoghi. Non basta un caseificio di Vico Equense coinvolto nell’inchiesta giudiziaria per screditare l’intera Penisola solo perchè l’azienda ha “Sorrento” nella propria denominazione. I caseifici equensi, ma più in generale peninsulari, d’altro canto non devono rassegnarsi a subire questa mortificazione, perchè non ne va solo della loro dignità imprenditoriale, ma del buon nome di un territorio che contro la camorra e le mafie ha però ancora molto da dire e soprattutto da fare nell’interesse generale.

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