Sagristani scopre la targa alla memoria del dottor Paolo Castellano al belvedere della Marinella. Video
Con una sobria, ma emoziante cerimonia organizzata dall’Amministrazione Comunale è stata inaugurata una targa in memoria del dottor Paolo Castellano sul belvedere della Marinella nella giornata in cui avrebbe compiuto 60 anni, ha ricordato il sindaco Piergiorgio Sagristani che ha aperto la serata alla presenza della moglie di Castellano, Cristina Colonna, e dei figli Firmino e Federica e di tanti parenti, amici, conoscenti e pazienti del chirurgo santanellese prematuramente scomparso a causa del coronavirus. Sagristani ha evidenziato gli aspetti umani e professionali di Castellano e il senso del suo impegno in amministrazione comunale vissuto sempre in spirito di servizio verso il prossimo. Il giornalista Vincenzo Califano, amico di Castellano, ha invece tratteggiato la figura dell’uomo e del medico evidenziando alcuni aspetti della sua attività particolarmente significativi, come la cura degli stomizzati che pionieristicamente aveva intrapreso non senza difficoltà. La targa a lui intitolata “in questo belvedere che ho saputo tanto amava – ha concluso il Sindaco – ricorderà l’amore che ha sempre nutrito per il suo paese oltre che per il suo lavoro e da oggi nel nostro cielo c’è una stella in più che si chiama Paolo“. V I D E O
VINCENZO CALIFANO RICORDA PAOLO CASTELLANO
“L’incontro di questa sera col quale il Sindaco e l’Amministrazione hanno voluto dedicare questo belvedere al ricordo di Paolo Castellano fa seguito alla straordinaria adesione di amici, conoscenti e soprattutto pazienti alla petizione popolare che abbiamo promosso all’indomani della scomparsa di Paolo per dar voce al sentimento di dolore per questa perdita così improvvisa, inaspettata e tragica per essersi consumata in un brevissimo lasso di tempo a causa di questo mostro con cui stiamo convivendo da un anno e mezzo a questa parte.
A Paolo mi legava un’amicizia antica e sincera che nel corso degli anni ci ha portato a condividere due momenti diversi: uno legato all’assistenza che ha fatto ai miei familiari, un altro alle riflessioni sulle condizioni della sanità in Penisola Sorrentina e sul suo lavoro perennemente diviso tra l’impegno al Policlinico e quello in Penisola per l’Asl dove forse non ha mai trovato quello spazio che invece avrebbe meritato e che i pazienti si aspettavano ottenesse.
Questioni che ci hanno indotto ad analizzare in lungo e in largo il sistema sanità nella nostra realtà e che hanno ispirato un mio lavoro che avrebbe dovuto vedere la luce con una significativa ed originale testimonianza di Paolo su questioni generali e particolari del suo lavoro e in particolare a un’esperienza professionale e umana che merita di essere evidenziata. Riguardava una categoria di ammalati particolare, gli stomizzati, cioè coloro cui viene praticata un’apertura nella parete addominale per mettere in comunicazione l’intestino con l’esterno.
Paolo mi raccontava di questa sua particolarissima missione evidenziandomi la forte componente emotiva che investe questi ammalati costretti a convivere con la borsetta per poter espletare le loro funzioni fisiologiche in rapporto alla tipologia d’intervento cui erano stati sottoposti.
Mi rappresentava quanto difficile fosse coinvolgere l’attenzione sia della politica sia degli operatori sanitari su questi ammalati che in lui avevano trovato davvero una specie di angelo custode e per farmi rendere conto di cosa si trattasse mi chiese di fare da moderatore a due convegni che lui organizzò a Piano di Sorrento proprio per aprire una finestra su questo mondo dove la malattia si associa al disagio umano e sociale che complica l’esistenza quotidiana di chi ne è vittima.
Conoscere questa situazione è stata per me l’occasione per apprezzare ancora di più l’impegno di Paolo come medico: proprio questi pazienti vivono ancora più forte la sua assenza e le sue cure.
Questo lavoro che volevamo fare per parlare anche di questo, lo dovetti interrompere l’anno scorso perché mi ammalai di covid e nello spazio di pochi giorni mi ritrovai ricoverato in Ospedale a Boscotrecase con una lunghissima degenza che per grazia di Dio mi ha visto superare questa terribile malattia. Le bozze di questo lavoro restarono quindi nel cassetto e le ho riprese questa primavera per portare a compimento il lavoro ma non avendo avuto il tempo di curare questa sezione dedicata agli stomizzati insieme a Paolo.
Dopo quanto è accaduto ho voluto concludere questo book dedicato alla memoria di Paolo e intitolato “Salute & Sanità” nel quale approfondisco quest’argomento alla luce della Sars-Cov-2 e del costruendo Ospedale Unico della Penisola Sorrentina che nascerà qui a Sant’Agnello.
In questo titolo ho voluto individuare un altro aspetto di quella che era la missione di Paolo perchè salute e sanità sono due concetti, due status differenti con cui ci dobbiamo confrontare. La sanità rappresenta il sistema organizzato dei servizi di assistenza pubblica e privata con cui quotidianamente facciamo i conti, molto spesso con grande difficoltà, disagio e anche disperazione.
La salute è invece uno stato particolare della persona dove il benessere fisico e quello psichico sono un tutt’uno rispetto anche al benessere sociale ed economico. Stare in salute significa star bene sul piano sanitario e su quello umano, familiare, lavorativo.
E Paolo nel suo lavoro è stato un testimone straordinario dell’importanza di questo binomio riuscendo sempre a portare allegria, fiducia ai suoi pazienti, riducendo l’intervento medico a un’esperienza dove prevalevano le sue parole, i suoi racconti, le sue ironie esercitando così un effetto assolutamente taumaturgico sull’ammalato. La cura del corpo non può prescindere dall’attenzione e dalla cura della persona e della personalità e in questo Paolo è stato eccellente, unico davvero come tutti quanti noi che lo abbiamo conosciuto possiamo testimoniare.
Come racconto nell’ultimo capitolo di questo book il nostro ultimo incontro risale a pochi giorni prima che si scatenasse il contagio, ci incontrammo in via delle rose con le nostre mogli e stemmo a lungo a parlare, a raccontarci tante cose, dandoci appuntamento nei giorni a seguire.
La notizia del suo ricovero è stato un colpo al cuore per tutti, per me e per mia moglie che l’ha incontrato per una visita a una parente due giorni prima, un vero e proprio trauma. Ho rivissuto quello che lui stava vivendo, i due stati d’animo che sono peculiari di questa malattia: la solitudine e l’angoscia che ti accompagnano dall’inizio alla fine e spesso lasciano ferite aperte anche se guarisci.
La fame d’aria che caratterizza la malattia a causa della polmonite che si scatena in un batter d’occhio ti costringe a temere che il peggio possa verificarsi in qualsiasi momento del giorno e della notte. E questo è l’aspetto più drammatico di questa esperienza.
In quei giorni il pensiero che ho rivolto a Paolo è stato quello di chi rivive solitudine e angoscia. Abbiamo chattato per qualche giorno, lui mi chiedeva notizie su come era stato il decorso della malattia, come se se ne fosse dimenticato nonostante ne avessimo parlato, ma in questo caso era lui l’ammalato. A un certo punto manifestò un certo ottimismo: poi però non mi ha più risposto perché la situazione è precipitata purtroppo irreversibilmente.
Oggi, nella giornata in cui avrebbe compiuto 60 anni, mi piace immaginare che ci stia guardando sornione da lassù, schivo per questa iniziativa che lo vede legittimamente assurgere a simbolo di un’esperienza di vita e di professione. L’intento di tutti noi con questa dedica del belvedere è quello di testimoniare alle giovani generazioni di uomini e donne e di medici che si può essere eccezionali senza compiere grandi imprese, ma operando sempre con coscienza, con umanità, con onestà e con tanta professionalità al servizio del prossimo. Praticamente quello che ha fatto Paolo nella sua vita”.