La scomparsa di Cutolo ‘o Prufessore… non solo camorra, ma anche realpolitik di Stato

La morte del boss di Ottaviano Raffaele Cutolo, fondatore della Nuova Camorra Organizzata (NCO), protagonista di tanti crimini efferati, ma anche di ambigue “frequentazioni” con lo Stato nei casi Cirillo&Moro, ha suscitato polemiche e contrastanti reazioni dell’opinione pubblica, amplificate sui social che confermano di essere un termometro utile a comprendere stati d’animo e punti di vista della gente comune sempre pronta ad affidare i propri pensieri e sentimenti alla rete.

Un fenomeno che prescinde dal caso-Cutolo, ovviamente, ma che in questa circostanza ha assunto un significato particolare stante la natura dell’uomo e dei reati gravissimi di cui si è reso responsabile nella sua carriera criminale. I rapporti intessuti dal camorrista con il terrorismo da un lato e con frange dello Stato dall’altra scrivono alcune delle pagine più oscure della storia repubblicana a conferma di quella doppia morale cui si sono ispirati (e si ispirano) uomini e apparati dello Stato sempre pronti a “scendere a patti col diavolo” per conseguire i propri obiettivi.

Vale per Cutolo e per i suoi referenti politici dell’epoca, vale per i protagonisti della cosiddetta “trattativa” tra Stato e Mafia con i delitti Falcone-Borsellino. Una storia che si ripete da sempre col potere criminale che “offre” il braccio armato a una consorteria politico-istituzionale interessata a liberarsi di chiunque costituisca una minaccia per il proprio potere e per i propri affari! Per questa ragione Cutolo deve morire in galera portando con sè quella parte di segreti irrivelabili se non col rischio di “far saltare il sistema democratico“. Questo lo sapeva bene  Cutolo come lo sanno tutti gli altri criminali che, a diverso titolo e con varie sembianze, si prestano a questo gioco lautamente ricompensati da quella parte dello Stato preposta a fare il “lavoro sporco” in nome di una realpolitik che tanti, troppi guasti ha prodotto al nostro Paese.