2000/2020: Un ventennio senza una politica industriale…
2000/2020: UN VENTENNIO SENZA UNA POLITICA INDUSTRIALE. LE OCCASIONI MANCATE. 2018/2023: UN’ALTRA LEGISLATURA PERDUTA?
di Raffaele Lauro*
L’economia e la società italiana stanno disperatamente tentando di uscire dal periodo più buio dal secondo dopoguerra. La produzione nazionale quest’anno è in caduta senza precedenti, stimata in un -12%, e il prossimo non ci si aspetta che recuperi se non una frazione di quanto perduto. L’esclusione dal lavoro tra disoccupati e inoccupati ha raggiunto i limiti della tollerabilità, molte imprese hanno dovuto chiudere i battenti e ben difficilmente li riapriranno, i redditi si riducono, i debiti insoluti stanno aprendo voragini nei bilanci delle banche e il debito pubblico viaggia verso vette da cui non si può scendere senza farsi molto male. Gli effetti nefasti della pandemia si sono così sommati alle carenze strutturali di un sistema-Paese, che, negli ultimi vent’anni, di fronte alle sfide della globalizzazione e ai “paletti” europei, senza avere la capacità di raccogliere gli stimoli positivi dell’Unione, non ha avuto uno straccio di politica industriale, coerente, continuativa e flessibile. Una barca in mezzo ai flutti, senza una rotta, senza un timone, senza un timoniere!
UN VENTENNIO SENZA UNA POLITICA INDUSTRIALE
I due governi Conte di questa diciottesima legislatura repubblicana, paralizzati da programmi contraddittori, sostenuti da maggioranze spurie, non si sono neppure posto il problema di definire una politica industriale. Il governo attuale, inoltre, travolto dall’emergenza epidemica, ha finora cercato di tamponare la crisi ricorrendo a interventi in tempi normali incompatibili con un’economia di mercato concorrenziale, varando soltanto misure tampone e rivelando una totale mancanza di strategia per l’uscita dal baratro in cui siamo caduti. In particolare, manca una visione e una strategia di “politica industriale” che orienti e indirizzi le scelte di imprese, famiglie e settore pubblico verso quei fattori trainanti lo sviluppo economico-sociale. Si registrano, invece, interventi di puro assistenzialismo, che generano dipendenze interminabili, e solo pochi frammenti di sostegno a qualche importante attività, come innovazione ed export, senza un quadro prospettico per i prossimi anni e senza intaccare i ceppi profondi che da anni hanno penalizzato e impoverito il nostro Paese.
Per affrontare le molte sfide dell’oggi per un domani migliore, la classe politica nella sua interezza e i componenti dell’esecutivo in carica farebbero bene a far tesoro del libro di un esperto con molta esperienza, Salvatore Zecchini, dal titolo “Politica industriale nell’Italia dell’euro”, edito dalla Donzelli, da poco uscito in libreria. Si tratta di un voluminoso saggio sulle manchevolezze e le sfide derivanti dalla mancanza di una “politica industriale” nello scorso ventennio, in cui si analizzano i termini del problema, si chiariscono i fondamenti di un approccio valido e si passa al setaccio quanto messo in campo e attuato da tutti i governi che si sono succeduti dal 2000 al 2020. È un vero unicum nel panorama della letteratura sul tema, in quanto molto è stato scritto su singoli interventi, ma non sull’insieme delle azioni di ogni singolo governo, né sulle loro interconnessioni, o incoerenze.
Innanzitutto si sgombra il campo dalle credenze propagandistiche secondo cui l’euro abbia contribuito ai mali della nostra economia, perché i dati le smentiscono e il confronto con gli altri Paesi membri evidenzia che tutti hanno dovuto adattarsi all’unione monetaria, conseguendo un diverso grado di successo. È importante, quindi, che l’Autore abbia chiarito all’inizio quanto la “politica industriale” sia cruciale per risolvere le debolezze del sistema e potenziarne i punti di forza in un contesto di estesa integrazione nel “mercato unico europeo”, di limiti condivisi tra Stati alla loro autonomia di politica economica e di straordinaria apertura ai concorrenti esterni all’area. Questa consapevolezza non è stata presente nell’azione dei passati governi per diversi motivi, tra cui la scarsa chiarezza sui contenuti di una politica di tal fatta. Si è ritenuto erroneamente che bastassero gli incentivi e gli aiuti a questo o a quel settore industriale per realizzarla, mentre al contrario essa abbraccia tutti i nodi del sistema, tanto del manifatturiero che dei servizi, perché vi è una stretta interdipendenza tra questi settori. La conferma, ad esempio, si trova nelle tendenze oggi in atto nel mondo, in cui si assiste a una “servitizzazione” dell’industria, nel senso che il suo successo è legato sempre più ai servizi di cui si avvale prima, durante e dopo i processi produttivi.
LE CONSEGUENZE DEVASTANTI SUL SISTEMA E I NODI RIMASTI IRRISOLTI
Se fare “politica industriale”, quindi, significa modificare l’allocazione delle risorse determinata dal mercato per stimolare in modo sostenibile nel tempo competitività e crescita economica e sociale, bisogna definire i suoi tratti e caratteristiche per poterne valutare l’adeguatezza, in ciò superando la difficoltà che gli esperti hanno incontrato nel riuscire a coglierne le molte ramificazioni. Di particolare rilievo è l’accento posto sulla disciplina del mercato del lavoro, sull’efficienza del sistema finanziario nel fornire risorse alle imprese meritevoli, sulle condizioni per diffondere ricerca e innovazione nel sistema imprenditoriale e sul contesto ambientale in cui operano le imprese, ovvero giustizia civile, burocrazia, tassazione e sicurezza. Il confronto con gli approcci seguìti nei maggiori Paesi sviluppati serve a comprendere l’influenza reciproca che è esercitata dal posizionamento del nostro Paese in un sistema internazionale, in cui bisogna tener conto delle azioni degli altri per rispondere alle ricadute sfavorevoli e sfruttare quelle favorevoli. Più pervasivi sono stati l’influenza e i condizionamenti dell’Unione Europea, che si sono articolati in diversi rami, nella disciplina degli aiuti di Stato e della concorrenza di mercato, nella politica commerciale verso l’esterno, nelle misure per le grandi industrie in crisi, quali la siderurgia e la cantieristica, nei programmi di ricerca e sviluppo per l’avanzamento tecnologico e, più tardivamente, nel ritorno di interesse al disegno di una politica industriale di respiro europeo, alla quale, peraltro, sono stati destinati finanziamenti modesti. Le iniziative di Bruxelles hanno avuto in realtà un ruolo proficuo di stimolo e anche di guida per il nostro Paese soltanto nell’avviare politiche di settore e acquisire una visione di insieme sul da farsi.
Su questo sfondo l’Autore traccia l’evoluzione del sistema produttivo e identifica un insieme di fattori nodali sui quali sarebbe stato necessario l’intervento pubblico per emendare progressivamente le debolezze esistenti e per far leva più efficacemente che nel passato sui fattori di traino del potenziale di competitività e crescita economica. Questi sono giustamente così individuati da Zecchini: l’investimento in ricerca e innovazione, da intensificare ed estendere a tutto il tessuto imprenditoriale, la formazione delle competenze nei campi richiesti dal sistema economico, l’internazionalizzazione delle PMI e la loro aggregazione per superare gli svantaggi della minore dimensione, la crescita dimensionale delle imprese per competere meglio, l’accesso a una molteplicità di fonti di finanziamento, lo sviluppo dei servizi alle imprese, dalla logistica al marketing, la concorrenza equa, l’accesso all’energia a costi comparabili a quelli dei concorrenti esteri, la flessibilità nel lavoro per adattarsi alla rapidità della quarta rivoluzione industriale in corso, il potenziamento delle infrastrutture materiali e immateriali, la sicurezza sul territorio e nell’ambiente, la semplificazione amministrativa e normativa e, non da ultimo, il “sistema di governance della politica industriale dal momento della formulazione alla fase di attuazione e verifica dei risultati”.
LE OCCASIONI MANCATE: NEL 2005/2006 E NEL 2015/2016
Come hanno risposto i governi a queste esigenze? L’analisi è condotta sulla base delle misure prese ed effettivamente attuate, con dovizia di dati e richiamando studi approfonditi sull’efficacia dei singoli interventi. Il quadro che ne scaturisce è di politiche disorganiche, prive di un chiaro programma, frammentarie, incerte negli orientamenti, nell’attuazione e nell’impegno di risorse, con scarso coordinamento tra autorità centrali e periferiche, con un misto di continuità tra governi su alcuni fronti e discontinuità su altri, insieme a qualche inversione di marcia: il tutto, infine, ostaggio della burocrazia, di procedure complesse e inefficaci rispetto al loro scopo, di resistenze latenti al cambiamento e con importanti vuoti. La normativa, richiesta anche dall’UE, per favorire la concorrenza su un piano esente da preferenze e posizioni dominanti non è riuscita a venire alla luce, se non un paio di anni fa e con modesta portata: gli investimenti in infrastrutture sono stati decurtati dopo lo slancio impresso nella prima metà degli anni 2000, la detassazione dei redditi d’impresa è risultata marginale, il peso della giustizia civile sull’economia per nulla alleviato, l’insicurezza sul territorio e la malversazione delle risorse non sono stati aggrediti in misura consistente. Sovente i lunghi ritardi nel tradurre in realtà i nuovi interventi ne hanno compromesso l’utilità stessa. Su qualche fronte, invece, sono stati fatti passi in avanti che potrebbero produrre positivi risultati alla lunga: ad esempio, la costituzione e i compiti delle autorità indipendenti di settore, la creazione del mercato energetico, il varo del contratto di rete per l’aggregazione delle PMI, il piano per sostenere il passaggio a Industria 4.0 e quello per la digitalizzazione del Paese, la normativa per l’equitycrowdfunding.
Soltanto in due occasioni i governi hanno tentato di varare un programma coerente di politica industriale, seppure di portata parziale: una prima volta, nel 2005-2006, e una seconda volta dieci anni dopo. Nel primo caso, di cui lo scrivente è stato testimone diretto nella responsabilità di capo di Gabinetto del MISE, divergenze all’interno del governo Berlusconi, rivalità e protagonismo di alcuni ministri (Tremonti e Scajola) ne impedirono l’approvazione e l’esecuzione. Nel secondo caso, nel periodo successivo al varo di diversi incentivi per l’investimento in ricerca e innovazione, questi nell’ultima parte di legislatura furono tardivamente integrati nel programma Impresa 4.0. Due occasioni mancate!
L’ECONOMIA FUTURA E LA QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, DOPO LO CHOC PANDEMICO
L’Autore conclude l’estesa indagine e i riscontri sul campo con indicazioni per migliorare l’approccio seguito finora. Auspica, in particolare, un cambiamento di paradigma di policy nel senso di avanzare verso una politica industriale “funzionale” all’evoluzione del sistema produttivo, nel senso indicato dalla rivoluzione tecnologica in atto. Una politica sostenuta in particolare da interventi per il potenziamento delle infrastrutture strategiche e per migliorare le condizioni di contesto per l’impresa. In breve, una politica che aiuti a traghettare l’economia e non solo l’industria nella “quarta rivoluzione industriale”, facendo perno soprattutto sulla realizzazione dell’economia della conoscenza attraverso l’innovazione, la ricerca, le infrastrutture e la formazione ad ampio raggio. Si prefigura un programma olistico che si concentri su poche assi tra cui individua il sostegno all’imprenditorialità, una più ampia articolazione del sistema finanziario, la formazione di una classe manageriale capace di gestire il cambiamento e la riforma delle istituzioni rilevanti per l’economia: dalla giustizia civile agli appalti e commesse pubblici, agli eccessi della normazione e regolamentazione, nonché alle disfunzioni della pubblica amministrazione. Con una simile impostazione, dopo lo choc pandemico, si supererebbero le vecchie dicotomie tra misure orizzontali e verticali, tra difensive e strategiche, tra Stato imprenditore e Stato regolatore, tra Stato promotore e Stato facilitatore. Tutti gli strumenti andrebbero messi in campo, ma in un programma organico e coerente in cui ogni azione abbia la sua giustificazione in una logica serrata. Data l’ampiezza della sfida, l’Autore giustamente si chiede, e lo scrivente con lui, se le sue siano semplicemente indicazioni velleitarie o vi siano margini e capacità per realizzarle in qualche misura, nel corso di questa disgraziata legislatura e con il governo attualmente in carica. In altre parole, se questa legislatura debba considerarsi, dopo vent’anni di attese deluse, definitivamente perduta ai fini della definizione di una politica industriale, degna di questo nome, oppure se l’attuale leadership politica, purtroppo dominata finora dalla confusione e dalla inconsistenza gestionale, sia in grado di affrontare e di risolvere l’annosa questione. Exigua his tribuenda fides, qui multa loquuntur!
* Segretario Generale Unimpresa
2000/2020: TWENTY YEARS WITHOUT AN INDUSTRIAL POLICY. THE MISSED OPPORTUNITIES. 2018/2023: ANOTHER LOST LEGISLATURE?
by Raffaele Lauro *
The Italian economy and society are desperately trying to get out of the darkest period since the end of the Second World War. The national production this year is experiencing an unprecedented decline, estimated at -12%, and next year it is only expected to recover a fraction of what was lost. The unemployment rate, considering both the unemployed and the non employed, has reached its limits; many companies have been forced to shut down and are unlikely to reopen; incomes are decreasing; outstanding debts are opening chasms in the banks’ balance sheets and public debt is reaching heights from which it is impossible to come down without getting seriously hurt. The harmful effects of the pandemic have thus been added to the structural deficiencies of a country-system which, over the last twenty years, was faced with the challenges of globalization and the European “limitations” without having the ability to reap the benefits of the Union’s positive stimuli, and did not have a shred of consistent, continuous and flexible industrial policy. A lost ship led astray by the waves, with no set course, helm, or captain!
TWENTY YEARS WITHOUT AN INDUSTRIAL POLICY
The two Conte governments of this eighteenth republican legislature, paralyzed by contradictory programs and supported by spurious majorities, have not even faced the problem of defining an industrial policy. Furthermore, the current government, overwhelmed by the epidemic, has so far tried to slap a band-aid on the crisis by resorting to interventions that, in normal times, would be incompatible with a competitive market economy, launching only buffer measures and revealing a total lack of strategy for exiting the abyss into which we have fallen. In particular, there is a lack of a vision and of an “industrial policy” strategy that guides and directs the choices of businesses, families and the public sector towards the factors that drive economic and social development. Instead, any interventions are simply based on welfare, which generates endless dependencies, and there are only a few fragments of support for some important activities, such as innovation and exports, without a prospective framework for the next few years and without intervening on the deep-seated issue that have penalized and impoverished our country for years. To face the many challenges of today, and for a better tomorrow, the political class as a whole and the members of the executive in office would do well to treasure the book of an expert with a lot of experience, Salvatore Zecchini, entitled “Industrial policy in the Italy of the euro”, published by Donzelli, recently released in bookstores. It is a voluminous essay on the shortcomings and challenges caused by the lack of an “industrial policy” in the last twenty years. In it, the Author analyses the terms of the problem, clarifies the foundations of a valid approach and sifts through what has been put in place and implemented by all the governments in office from 2000 to 2020. It is a true unicum in the panorama of literature on the subject, since much has been written on individual interventions, but not on all the actions of each individual government, nor on their interconnections or inconsistencies. First of all, the propaganda beliefs according to which the euro contributed to all the pitfalls of our economy are disproven: the data contradict them and the comparison with other member countries shows that all have had to adapt to the monetary union with different degrees of success. It is therefore important to note that the Author clarified, at the beginning, how crucial “industrial policy” is in order to reduce the weaknesses of the system and enhance its strengths in the context of an extensive integration into the “single European market” and of shared limitations between member states to each other’s economic policy autonomy and extraordinary openness to foreign competitors outside the area. This element was not present in the actions of past governments for several reasons, including a lack of clarity on the contents of such a policy. It was mistakenly believed that incentives and aid to this or that industrial sector were enough to achieve results, while on the contrary, such a policy focuses on all the issues in the system, both in manufacturing and in services, because there is a close interdependence between these sectors. This can be confirmed by looking at the current trends that show, worldwide, a “servitization” of the industry, in the sense that its success is increasingly linked to the services it uses before, during, and after the production processes.
THE DEVASTATING CONSEQUENCES ON THE SYSTEM AND THE STILL UNRESOLVED ISSUES
If building an “industrial policy”, therefore, means changing the allocation of resources determined by the market to stimulate competitiveness and economic and social growth in a sustainable way over time, it is necessary to define its traits and characteristics in order to be able to assess its adequacy, thereby overcoming the issues that certain experts have faced in trying to grasp its many ramifications. It is particularly important, then, to focus on the regulation of the labor market, on the efficiency of the financial system in providing resources to deserving companies, on the conditions needed to disseminate research and innovation in the entrepreneurial system and on the environmental context in which companies operate, i.e. civil justice, bureaucracy, taxation and security. Comparing that with the approaches followed in the biggest developed countries helps to understand the mutual influence that is exerted by the positioning of our country in an international system, in which the actions of others must be taken into account in order to respond to the adverse effects and exploit the favorable ones. The influence and conditioning of the European Union have been more pervasive and have been divided into various branches such as state aid regulations and market competition, external trade policies, measures for large industries experiencing a crisis, such as the steel industry and shipbuilding, research and development programs for a technological advancement and, lately, the return of an interest in the creation of a European-wide industrial policy, which, however, was allocated very modest funding. The initiatives promoted by Brussels actually had a fruitful role in stimulating and guiding our country when it comes to launching sector policies and acquiring an overall view on what to do. Against this background, the Author traces the evolution of the production system and identifies a set of key factors that would have required public intervention to progressively amend their existing weaknesses and to leverage them more effectively on any potential competitiveness and economic growth drivers. These factors are rightly identified by Zecchini as follows: investing in research and innovation, to be intensified and extended to the entire entrepreneurial environment; training of skills in the fields required by the economic system; internationalising and aggregating SMEs to overcome the disadvantages of their smaller size; dimensional growth of companies to compete better; access to a multiplicity of financing sources; developing of business services, from logistics to marketing; fair competition; access to energy at costs comparable to those of foreign competitors; flexibility, to adapt to the speed of the fourth industrial revolution currently in progress; strengthening tangible and intangible infrastructures; promoting safety on the territory and in the environment; administrative and regulatory simplification and, last but not least, the “governance system of industrial policy, from the moment of its conception to its implementation and to the evaluation of its results”.
MISSED OPPORTUNITIES IN 2005/2006 AND IN 2015/2016
How have governments responded to these needs? The analysis is conducted on the basis of the measures taken and actually implemented, with a wealth of data and in-depth studies on the effectiveness of individual interventions. The resulting picture shows disorganized policies, lacking a clear program, fragmented, uncertain in orientation, implementation and commitment of resources, with poor coordination between central and peripheral authorities, with a mixture of continuity between governments on some fronts and discontinuity on others, together with some course reversals – everything, at the end of the day, is taken hostage by bureaucracy, with its complex and ineffective procedures, latent resistance to change and regulatory voids. The legislation, also requested by the EU, to foster and promote unbiased competition did not come to light but a couple of years ago, and even then with only a modest reach: investments in infrastructures were cut after the momentum of the first half of the 2000s; tax relief on business income was marginal; the burden of civil justice on the economy was not at all alleviated; insecurity on the territory and embezzlement of resources were not significantly fought against. Often, the long delays in translating new interventions into reality have compromised their very usefulness. On some fronts, however, progress has been made that could produce positive results in the long run: for example, the establishment of independent sector authorities, the creation of the energy market, the launch of a network contract for the aggregation of SMEs, the plan to support the transition to Industry 4.0, the plan for the digitalisation of the country, and the legislation for equity crowdfunding. Only on two occasions have governments attempted to enact a coherent, albeit partial, industrial policy program: once, in 2005-2006, and a second time ten years later. In the first case, of which I myself was a direct witness, in my role of head of cabinet of the MISE, differences within the Berlusconi government, rivalries, and the selfishness of some ministers (Tremonti and Scajola) prevented its approval and execution. In the second case, following the launch of several incentives for investing in research and innovation, these were belatedly integrated into the Industry 4.0 program at the end of the mandate. Two missed opportunities!
THE FUTURE ECONOMY AND THE FOURTH INDUSTRIAL REVOLUTION AFTER THE PANDEMIC SHOCK
The Author concludes his extensive investigation and feedback with indications for improving the approach followed so far. In particular, he hopes for a change in the policy paradigm in the sense of moving towards an industrial policy “functional” to the evolution of the production system, as indicated by the technological revolution in progress. A policy supported, in particular, by interventions for the strengthening of strategic infrastructures and to improve the underlying conditions for companies. In short, a policy that helps to lead the economy, and not just industry, into the “fourth industrial revolution”, hinging above all on the realization of a knowledge economy through innovation, research, infrastructures and extensive training. The Author envisages an holistic program that focuses on a few axes, including providing support for entrepreneurship; a broader articulation of the financial system; training a managerial class capable of managing change and reforming the institutions most relevant to the economy: from civil justice to public procurement and contracts, to the excesses of standardization and regulation, as well as the dysfunctions of the public administration. With such an approach, after the pandemic shock, the old dichotomies between horizontal and vertical measures, between defensive and strategic, between entrepreneur state and regulator state, between promoter state and facilitator state, would be overcome. All tools should be put in place within an organic and cohesive program in which each action has its logic justification. Given the breadth of the challenge, the Author rightly asks himself, and so do I with him, if these are simply unrealistic indications or if there are margins and skills that can carry them out to some extent, during this unfortunate legislature and with the government currently in charge. In other words, whether this legislature should be considered, after twenty years of disappointed expectations, definitively lost for the purposes of defining an industrial policy worthy of the name, or whether the current political leadership, which so far has unfortunately been dominated by confusion and inconsistency, will be able to face and resolve this age-old question. Exigua his tribuenda fides, here fine loquuntur!
* General Secretary of Unimpresa