La crisi covid-19 impone di scegliere le priorità d’interventi e…ripensare il modello di società
In questi giorni che preludono alla Santa Pasqua gli operatori del turismo, in particolare il settore alberghiero ed extralberghiero, cominciano a fare i conti sulle conseguenze del fermo turistico imposto dalla pandemia covid-19 che ha praticamente bloccato l’avvio della stagione se non addirittura interamente pregiudicandola viste le distette di prenotazioni piovute dai paesi stranieri abituali frequentatori delle terre sorrentine. La priorità è stata quella di scongiurare che attività e relazioni interpersonali favorissero l’espansione della pandemia con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate in termini di decessi.
Da questo punto di vista la situazione, almeno nella Penisola Sorrentina, è per il momento sotto controllo contandosi 3 decessi, alcune decine di contagiati la maggioranza dei quali confinati nelle loro abitazioni non richiedendosi ricovero ospedaliero, ma sottoposti ai rigidi controlli sanitari e di vigilanza domiciliare, alcune centinaia di persone “in quarantena” secondo quanto previsto dalla legge. Le conseguenze economiche di questa scelta politica e sanitaria hanno colpito e colpiscono i diversi attori dell’offerta turistica territoriale anche se con differenze che non possono e non devono passare inosservate se si intende attuare una giustizia sociale pur in un contesto assolutamente emergenziale.
La situazione più grave riguarda senza dubbio i lavoratori stagionali del comparto turistico che in maggioranza hanno esaurito le provvidenze economiche della Naspi (l’ex disoccupazione) già a febbraio e contavano proprio nel riavvio della stagione per riprendere il lavoro e con esso garantirsi il reddito per il sostentamento familiare. Questi lavoratori avrebbero cominciato a percepire lo stipendio entro il giorno 10 del mese successivo a quello lavorato: per intendersi, entro il 10 aprile gli assunti a marzo, entro il 10 maggio quelli di aprile e così via.
Gli albergatori che avrebbero assunto a febbraio sono quelli che ospitano il turismo scolastico (le gite) che sono state sospese anch’essere bloccando un comparto che fa grossi numeri e dà lavoro anticipatamente agli assunti in strutture che accolgono gli studenti, italiani e stranieri, in gita in Costiera. Tutti gli altri avrebbero aperto le loro strutture a partire da questa settimana che prelude alla Pasqua. Così invece non sarà per cui i lavoratori non sono stati assunti (o quelli che lo erano stati prima del blocco dei licenziamenti imposto dal Governo sono stati tempestivamente licenziati entro il 17 marzo grazie anche a qualche esamotage favorito dalla legge, rigida per quanto concerne la denuncia di avvio del rapporto di lavoro, più flessibile per quanto riguarda la formalizzazione della sua cessazione) e di conseguenza nessuno corrisponderà loro stipendi e pagherà contributi che, quindi, non graveranno sulle tasche degli albergatori.
Sic stantibus rebus è naturale che le maggiori criticità riguardano questa tipologia di lavoratori, appunto gli stagionali, per sostenere i quali è indispensabile solo attuare il prolungamento della Naspi fino al superamento del periodo di inoccupazione. Più o meno lo stesso discorso vale per il mondo della ristorazione, pur se con qualche differenza che però non cambia la sostanza del problema. Per gli imprenditori turistici, in prevalenza proprietari delle loro strutture, indubbiamente non ricorrono quelle criticità peculiari dei loro dipendenti, considerando anche che il fatturato 2019 con i relativi utili è stato in assoluto quello più cospicuo dall’indomani della crisi del 2007/08 e dintorni.
Insomma se c’è qualcuno che può affrontare con serenità la lotta per la “sopravvivenza quotidiana” questi sono gli imprenditori turistici ferme restando le eccezioni che, ahimè, confermano la regola! Cambia, ma solo in parte, la situazione per il settore extralberghiero in considerazione del fatto che soprattutto nel corso degli ultimi due/tre anni si è assistito all’exploit dell’offerta extralberghiera che ha trasformato anche ceti familiari a tradizionale vocazione professionale in una piccola e diffusa imprenditoria turistica che risente maggiormente della crisi che li ha colpiti e che non fa sperare in una sollecita ripresa per cui si invocano sostegni alla Regione e allo Stato.
E’ inevitabile fare delle distinzioni che assolutamente non vogliono precludere alcuna strada risarcitoria anche per le imprese del comparto, ma deve valere il criterio delle priorità che la politica deve saper individuare proprio per affermarsi “classe dirigente” piuttosto che un ceto di gestione che magari approfitta anche dell’emergenza per lucrare consenso attraverso la gestione politica delle risorse straordinarie che i Comuni devono utilizzare per il sostenamento delle fasce sociali più deboli e più in crisi. Altro discorso riguarda il settore del commercio, dell’artigianato e quello residuale agricolo che richiedono misure differenziate rispetto all’imprenditoria maggiore. Ecco perchè bisogna tenere gli occhi aperti sul solito rischio che sta dietro l’angolo di tutte le disgrazie italiane: le crisi, le tragedie consentono ai soliti noti e loschi personaggi di ingrassarsi sulla pelle dei vari e veri danneggiati.
Nel decalogo di richieste presentate alla Regione, se ne leggono alcuni che non hanno alcun diritto di cittadinanza rispetto all’attuale emergenza e anzi rischiano soltanto di affollare la discussione se non addirittura di comprometterla. Piuttosto si elaborino nuove strategie commerciali e di marketing per il dopo crisi covid sapendo che soltanto il reale esaurimento del potenziale di contagio può portare quella serenità e quella disponibilità a muoversi rimettendo in moto le macchine. Bisogna ripensare daccapo politiche e strategie turistiche, elaborare nuovi modelli di offerta turistica dei territori in grado di supplire ai vuoti causati dalla pandemia in particolare all’estero. Non è il momento di restare con le mani in mano e in questo senso sicuramente si rimetterà in moto prima il mercato dell’offerta ristorativa che può contare su un’utenza territoriale in grado di spingere la ripresa.
Albergatori ed extralberghieri dovranno invece puntare con offerte accattivanti su un turismo italiano spinto anche dalla voglia di riscoprire i nostri luoghi del cuore, il nostro patrimonio storico-artistico-culturale-ambientale, le eccellenze enogastronomiche sempre accattivanti. In questo senso bisogna auspicare che si attivino al più presto preziose sinergie pubblico-private che sappiano sviluppare attrazione per soddisfare questa particolare, ma più familiare clientela. Tenendo sempre presente però, e il discorso non fa distinzione di comparti, che questa tragedia imporrà l’adozione permanente di stili di vita e relazionali diversi rispetto al passato perchè si potranno avere e si avranno altri contagi, anche se non in forma pandemica, per cui vanno riscritte regole comportamentali che dovranno essere adottate da tutti per sopravvivere alla svolta epocale imposta dalla pandemia che sicuramente non sarà l’ultima con cui dovremo fare i conti! Dobbiamo pensare, e in tempi anche rapidi, a un nuovo modello di società e di relazioni a tutti i livelli per non dover rifare i conti con altri microscopici nemici in grado di scatenare guerre planetarie capaci di distruggere l’umanità!