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Nell’emergenza socio-sanitaria lo Stato rischia di rafforzare le mafie sempre in agguato

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mafiaLe mafie, in tutte le loro manifestazioni e assetti organizzativi, fondano il proprio potere sul controllo minuzioso dei territori e delle attività economiche che su di essi si sviluppano. Così l’organizzazione criminale consolida e allarga i suoi business, avvalendosi del concorso obbligato, o meglio coatto, di clan familiari e associativi, anche giovanili, causa anche la disoccupazione, che vivono a rimorchio dei consorzio criminali. I settori più redditizi dell’impresa criminale sono noti: racket delle estorsioni, usura, gioco d’azzardo, prostituzione, spaccio degli stupefacenti, controllo di aziende, apparentemente legali, attraverso prestanomi e sentinelle

In queste realtà, soprattutto laddove è più percepita l’assenza dello Stato, spesso reale, le mafie diventano un vero e proprio surrogato dell’istituzione pubblica, sostituendosi ad essa nei momenti di crisi, di difficoltà, di disagio e di emergenza socio-economica. L’obiettivo è sempre lo stesso: mungere la vacca con il fine di ulteriormente affermare la loro presenza e il loro ruolo di “prossimità“, rispetto alle fasce più deboli, e non solo a quelle. Senza contare le collusioni consapevoli, e non subite, di molti che preferiscono pagare il pizzo alla criminalità organizzata, piuttosto che le tasse allo Stato, diventato il loro nemico.

Del resto è stato proprio grazie a questo potere di controllo esercitato sui territori che, nel 1943/1944, ebbe a realizzarsi una sorta di alleanza tra la mafia siculo-americana e l’US Navy per poter sbarcare in Sicilia. Cioè su una terra dove non c’erano contatti, spie e agenti attivi in loco su cui contare per muoversi in un contesto di sicurezza per le operazioni militari.

Un’alleanza poi praticamente tradottasi nella cessione alla mafia di una quota sovranità nazionale nel governo di quei territori e, quindi, nella gestione della cosa pubblica, con tutto il seguito. Una contaminazione storicamente accertata e foriera di quelle degenerazioni del sistema democratico che, nel corso dei decenni, hanno consentito alle mafie di inquinare le istituzioni locali, fino al Parlamento, attraverso il controllo del voto. Non solo, ma anche a sentirsi legittimate, come “padrone” dei luoghi, delle persone, delle attività economiche e delle istituzioni, fino a minacciare lo Stato con delle stragi. Per difendere lo Stato democratico hanno perduto la vita politici onesti, poliziotti, carabinieri, magistrati coraggiosi e imprenditori non collusi.

In questa drammatica stagione di grave crisi economica, dovuta all’emergenza covid-19, a causa delle ripercussioni sulle famiglie e sulle imprese, cioè sui soggetti che costituiscono il tessuto vivo delle comunità locali, le mafie potrebbero presentarsi come un “surrogato” più efficiente dello Stato. Ad esempio, nella prima assistenza monetaria, per soddisfare i bisogni primari di sopravvivenza, forti di contanti sporchi e di patrimoni miliardari. Del tutto svincolate da qualsiasi obbligo connesso alla gestione delle finanze pubbliche, da parte dello Stato, nel rapporto del governo centrale con i comuni.

L’immediatezza e la libertà di “pronto intervento” delle mafie, anche nel garantire generi alimentari, frutto di fiorenti e consolidate attività nella grande distribuzione organizzata, mette le mafie in una situazione di vantaggio, rispetto allo Stato e alle comunità civiche che sono in affanno, alla ricerca di un immediato e sburocratizzato accesso a beni di primaria importanza e anche a denaro, per far fronte a esigenze di liquidità correnti.

Si amplia, in questo scenario colombiano, l’affiliazione al sistema mafioso e, quindi, la penetrazione sociale della criminalità e di conseguenza la sua capacità di condizionamento anche dei processi democratici futuri.

E’ questo forse la principale sfida che attende il Governo e le amministrazioni pubbliche del territorio, nel fronteggiare questa calamità naturale, trasformatasi in tragedia socio-economica, per ampie fasce di popolazione. In particolare, per quella irregolare e che probabilmente non può e non vuole emergere anche rispetto alle opportunità di accedere ad agevolazioni pubbliche, pensate per garantire un soccorso, ma capaci di trasformarsi in una specie di boomerang con una schedatura di massa degli irregolari. Cioè dei lavoratori in nero e di quelli che alimentano le economie sommerse e illegali.
Il timore di essere identificati e classificati induce e indurrà tante persone a optare per la “solidarietà mafiosa”. Per cui dalla crisi e dall’emergenza, lo Stato democratico rischia di uscire ulteriormente indebolito e, soprattutto, contagiato nel profondo da quella cultura dell’illegalità su cui prospera l’affarismo criminale, nazionale e internazionale.
Non è facile affrontare questo aspetto dell’emergenza, ma non tenerlo presente rischia di mettere in ginocchio il nostro paese, nella sfida alle mafie che lo inquinano in ogni settore. Che si provi allora a guardare anche questa faccia della medaglia, per escogitare soluzioni idonee a tutelare le istituzioni democratiche e la trasparenza di quelle finanziarie

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