Intervista a Raffaele Lauro, il virus-mafie che minaccia il sistema finanziario ed economico-produttivo
LE MAFIE. L’ALTRO VIRUS IN AGGUATO CHE MINACCIA IL SISTEMA FINANZIARIO ED ECONOMICO-PRODUTTIVO. LE MISURE NECESSARIE DI PREVENZIONE E DI CONTROLLO. I SETTORI PIÙ A RISCHIO IMMEDIATO: RISTORANTI, ALBERGHI, COMMERCIO E PICCOLE FABBRICHE. OCCORRONO DAI 500 AI MILLE MILIARDI DI EURO.
Ormai da settimane, da quando è iniziata l’emergenza nazionale del coronavirus, lo scrittore Raffaele Lauro segue, dalla sua abitazione romana, con consapevole e crescente trepidazione, l’evolvere del contagio. Forte delle sue pregresse responsabilità istituzionali di capo di gabinetto del ministero dell’Interno e del ministero dello Sviluppo Economico, di commissario straordinario del governo per la lotta al racket e all’usura e di senatore della Repubblica, impegnato, in commissione antimafia, contro la piaga sociale del gioco d’azzardo e dell’usura, non si risparmia, quotidianamente, attraverso articoli, lettere aperte al Presidente del Consiglio, interviste e messaggi sui social, talvolta di durissima critica alle incertezze operative del governo, a recare il suo contributo di riflessione e di proposte per il superamento di questa fase critica della vita nazionale.
Quasi il diario di ”un’anarchia, decisionale e comunicazionale”, come lui la definisce, che continueremo a seguire da vicino per i nostri lettori. Da ultimo, ieri, l’allarme lanciato sul pericolo incombente di ulteriori e ancor più massicce infiltrazioni della criminalità organizzata nel nostro sistema finanziario e nel tessuto economico-produttivo, in particolare quello delle piccole e medie imprese, messe ormai in ginocchio dalla pandemia in atto e dalle conseguenti misure restrittive. Lo abbiamo intervistato su quest’ultimo allarme, che, per l’autorevolezza della fonte da cui proviene, non può essere assolutamente trascurato o passato sotto silenzio.
D.: Professore, l’abbiamo lasciata, a fine anno 2019 e poche settimane fa, in occasione del suo genetliaco, a programmare la scrittura del suo nuovo romanzo su Greta Garbo e la ritroviamo con il bazooka in mano a lanciare razzi incendiari contro il carro del governo, proprio lei, notoriamente sempre misurato e distaccato anche in situazioni storiche drammatiche, vissute in prima persona, come le stragi di mafia. Cosa succede?
R.: Francamente non è il momento di pensare a Greta, di fronte al dramma in atto. Lei mi aveva promesso, comunque, di non farmi domande dirette sul presidente del Consiglio, anche perché sto riflettendo ancora sull’anarchia decisionale e comunicazionale del Governo Conte, con i gravissimi danni già provocati al nostro paese, essendo mancato il coraggio, almeno finora, di adottare misure risolutive per una radicale e rapida inversione di tendenza del contagio. Un’anarchia che sta provocando, in queste ore, la temuta esportazione dell’epidemia dal Nord al Sud, con le prevedibili disastrose conseguenze sul sistema sanitario meridionale. Chi governa una democrazia, anche in tempi normali, figuriamoci in una situazione emergenziale di questa portata, nella quale è in gioco la salute pubblica, deve possedere e dimostrare, nell’azione di governo, forza, coraggio, determinazione, sobrietà di linguaggio, comunicazione istituzionale adeguata e sfida dell’impopolarità per tutelare un bene supremo, l’interesse nazionale per eccellenza: la salute dei cittadini. Non mediare tra interessi secondari. Altrimenti la democrazia, come regime, soccombe e si diffonde il malefico convincimento, a livello collettivo, che sia preferibile una dittatura, come quella cinese, ad una democrazia inetta ed imbelle. Altro che citare Winston Churchill, il quale si sarà rivoltato nella tomba, nel cimitero di St. Martin‘s Church! L’avvocato Conte forse conoscerà il diritto privato, ma ignora la lezione della Storia!
D.: Eppure il gradimento di Conte nei sondaggi sale, non scende!
R.: Le rispondo con una domanda: ricorda il gradimento di Matteo Renzi o di altri leader? Dove è finito?
D.: Veniamo al tema di questa intervista. Perché ha lanciato in questo momento l’allarme criminalità organizzata, a molti apparso intempestivo? Perché ha scritto che il virus mafia è ancora più pericoloso del coronavirus? Perché ha evocato un destino colombiano per l’Italia?
Premesso che le tutte mafie, nostrane e straniere, sono sempre in agguato e sono molto tempestive a sfruttare periodi di debolezza e di prostrazione del sistema imprenditoriale, come quello in essere, caratterizzato da una crisi finanziaria ed economica senza precedenti. Con una borsa in caduta verticale, quanti figli, nipoti o legali di boss, che hanno studiato finanza a Londra o a New York, sono pronti a rastrellare, coperti dall’anonimato di società, con sede legale nei paradisi fiscali, titoli azionari a prezzi da saldo? Quanti boss e capi bastone, presenti sul territorio, dotati di ingenti capitali sporchi ricavati dallo spaccio degli stupefacenti, dal racket delle estorsioni, dalla prostituzione e dall’usura, magari informati delle criticità di cassa da bancari infedeli e prezzolati, sono già pronti a soccorrere, si fa per dire, medi e piccoli imprenditori in crisi di liquidità, a causa della chiusura della loro attività, stretti nella morsa degli adempimenti fiscali, rinviati a breve, e del crollo della produzione di beni e delle vendite? Senza contare che, anche quando sarà passata lo tsunami del coronavirus, i nostri prodotti dovranno scontare una ripresa lentissima della domanda, sia interna che estera! Quanti piccoli imprenditori, commercianti, artigiani e professionisti di servizi saranno tentati di gettare la spugna, chiudendo la loro attività, perché sommersi dai debiti e non disposti a scendere a compromessi? E quanti di loro non riusciranno a resistere alle lusinghe (e alle minacce!) della criminalità organizzata, trasformandosi da proprietari, da padroni, in teste di legno, in prestanome o in sentinelle, asservite alle organizzazioni criminali? E che ne sarà degli addetti, dipendenti e lavoratori di queste attività, sia in caso di chiusura che di cessione, di fatto, alle mafie? E delle loro famiglie? Siamo di fronte al pericolo di una prospettiva colombiana e di una diffusa disgregazione sociale, che potrebbe preludere ad atti di disperazione individuale, a disordini pubblici e, persino, ad insurrezioni, magari manovrate, a fini di ricatto verso i poteri costituiti, da parte degli stessi vertici delle organizzazioni criminali. Ad un passo dalla fine della democrazia, ad una crisi di regime, ad un triste preludio di avventurismi di ogni genere.
D.: Lei delinea lucidamente un quadro veramente drammatico! Quali sono i settori più a rischio immediato?
R.: Non sono in vena di catastrofismi, ma l’epilogo temuto è realistico. Infatti, la crisi riguarda decine di migliaia di attività imprenditoriali, diffuse sull’intero territorio nazionale, in particolare nelle aree più sviluppate del paese e in tutti i settori produttivi. Tutte egualmente in crollo di fatturato e di risorse per pagare forniture, stipendi e tasse. Quello degli adempimenti fiscali rappresenta un nodo centrale: rinviare soltanto le scadenze e gli accertamenti tributari non rappresenta la soluzione, perché i pagamenti si accumuleranno uno dietro l’altro e la situazione debitoria, alla fine, diventerà ingestibile. Il problema resta la liquidità necessaria a scavallare sei mesi/un anno. Le attività che sono andate immediatamente in tilt sono la ristorazione, il comparto alberghiero, il commercio e le piccole fabbriche.
D.: In termini finanziari, quale sarà il costo prevedibile della crisi economica per questi settori produttivi?
R.: Il bilancio finale rimane, allo stato, imprevedibile. Ad oggi, abbiamo i dati analizzati dal centro studi di Unimpresa: i danni saranno non meno di 150 miliardi di euro di prodotto interno lordo, ovvero quasi il 10% dell’economia italiana: si tratta di 64 miliardi del settore alberghiero e ristorazione, 53 miliardi del trasporto, oltre 8 miliardi del comparto noleggio e leasing, 2 miliardi riferibili alle agenzie di viaggio e ai tour operator, quasi 11 miliardi riconducibili a musei, cinema e teatri, oltre 7 miliardi del settore sport e tempo libero. In tre mesi potrebbero subire ulteriori danni, nell’ordine di 45 miliardi, con ricadute dirette o indirette, proprio i settori più a rischio che vanno dal turismo ai trasporti, dagli spettacoli allo sport.
D.: Come giudica, a riguardo, i due provvedimenti del governo, per 25 miliardi di euro, varati in queste ore?
Totalmente insufficienti per quanto riguarda le piccole e le medie imprese. Mancette da 600/500 euro! Da piangere! Questo governo, purtroppo, ha dimostrato, fin dalla sua nascita, non solo un’intrinseca e costitutiva debolezza politica, ma anche la totale mancanza di un visione complessiva, organica ed omogenea dei problemi del paese, rivelando un’assoluta inconsistenza progettuale. Si è trascinato per mesi con la tattica del rinvio o con provvedimenti tampone, frutto di deleteri compromessi. Immaginarsi in una situazione di emergenza, come quella che stiamo vivendo, cosa possa partorire. Infatti un decreto contiene delle misure certamente necessarie, pur se ancora insufficienti, per affrontare l’emergenza sanitaria, l’altro non affronta per niente la crisi economica e la condizione delle imprese. Alcuni benefici sembrano una presa in giro. Si procede, di nuovo, a tentoni, a singhiozzo, tamponando ma non risolvendo, proprio perché manca una strategia di fondo che riguardi anche il dopo, cioè il futuro finanziario, economico e produttivo del nostro paese. Non basta salvaguardare i grandi comparti industriali, ma necessita tutelare, da subito, l’intero tessuto connettivo delle piccole e delle medie imprese, altrimenti da qui a tre mesi ci troveremo di fronte ad un campo di macerie, non più recuperabili, o ad una realtà irrimediabilmente inquinata dalla criminalità organizzata.
D.: Mancano le idee o le risorse?
R.: Manca un progetto coerente, perché le forze che compongono questa cosiddetta maggioranza, nonostante i compromessi e i cedimenti del PD, peraltro su principi fondamentali, restano inconciliabili, e mancano le risorse. Quelle ipotizzate, anche con il superamento del patto di stabilità e con le concessioni dei partner europei per il superamento del rapporto debito/PIL, restano inadeguate a creare le condizioni di una forte ripresa, dopo la bufera in atto. Occorrono dai 500 ai 1000 miliardi per rilanciare il nostro paese, avendo un progetto ben definito, coerente e condiviso, fin da ora, per l’utilizzo di queste importanti risorse. Come reperire queste risorse? Ricorrendo a tre misure straordinarie, draconiane, come quelle post belliche: il lancio di un prestito, a scadenza trentennale, ad un tasso di interesse minimo, per la ricostruzione, rivolto ai cittadini italiani; una patrimoniale di solidarietà nazionale e un accordo interbancario, garantito dallo Stato, per erogare alle imprese liquidità a fondo perduto, prestiti a tasso zero e mutui a scadenza ventennale, senza troppi intralci burocratici e documentali. Per operare in tal senso servirebbe un governo di “competenti”, un governo del presidente della Repubblica di alto profilo, coraggioso, forte e risoluto, presieduto da un personalità italiana di rilievo internazionale, sulla base di un progetto chiaro sull’impiego di quanto reperito su base volontaria, forzosamente o tramite il sistema bancario. Gli italiani non si tirerebbero indietro di fronte a proposte serie e fattibili, mentre l’Unione Europea dovrebbe soltanto tacere.
D.: Anche le misure antimafia, tuttavia, potrebbero far parte di questo progetto?
R.: Quelle non possono aspettare. Presumo che il ministro dell’Interno abbia già attivato gli organismi preposti, a livello nazionale, all’attività antimafia per la salvaguardia dell’integrità del nostro sistema economico e produttivo, in particolare la Guardia di Finanza, i servizi di intelligence, sia interni che internazionali, e la CONSOB. Bisogna monitorare e indagare su tutti i movimenti di borsa anomali e sui mandanti degli stessi ed anche su quelli di operazioni speculative, cioè di gruppi finanziari esteri non riconducibili alla criminalità organizzata, operazioni finalizzate a fagocitare i nostri migliori asset economici nazionali. Serve principalmente la collaborazione obbligata, soggetta a pesanti sanzioni per le omissioni, a tutti i livelli, specie sul territorio, delle camere di commercio, delle associazioni di impresa, dei sindacati, dei sindaci, dei notai e delle forze dell’ordine, per ”radiografare” tutti i passaggi di proprietà sospetti, sia fatti in chiaro che occulti, da segnalare tempestivamente all’autorità giudiziaria, alle forze di polizia e alla commissione antimafia, che rimane, ahi noi!, ancora totalmente silente su questo pericolo imminente.
D.: Per le sue storiche battaglie contro il gioco d’azzardo e l’usura, dentro e fuori il Parlamento, come ha accolto la notizia che molte violazioni alle norme restrittive, con conseguente denunzia, sono state contestate ad anziani presenti nelle tabaccherie intenti ad acquistare i gratta e vinci o a malati di gioco patologico che continuano ad affollare le sale slot?
R.: Ho avuto l’amara conferma che la filosofia, chiamiamola eufemisticamente così, delle autocertificazioni “a gogó” sia fallimentare e che l’unica soluzione resti certo l’obbligo di non lasciare la propria casa, se non in presenza di inderogabili necessità, pena l’arresto, ma essa deve essere accompagnata dall’unica deterrenza possibile, per evitare violazioni dell’obbligo: il presidio capillare del territorio nazionale da parte dell’esercito e delle forze dell’ordine. Uno Stato che non utilizza la sua forza legale e la sua sovranità, quando necessario, diventa un fantoccio. Naturalmente per un periodo di tempo limitato, tuttavia sufficiente a bloccare il contagio e a determinare l’auspicabile inversione di tendenza nella diffusione dello stesso.
D.: Quando pensa di poter tornare alle “sudate carte” e a scrivere il romanzo su Greta Garbo? Andrà tutto bene?
Veramente tornerei al mio sudato iPad! Sinceramente non lo so, nutro la speranza che, in attesa del vaccino, questa tragedia nazionale possa, se non risolta, tornare sotto controllo quanto prima per la tutela della salute pubblica e per bene del mio paese. Nessuno si illuda, comunque, perché sarà una “guerra” della durata di un anno. Allo stato, tuttavia, il mio tradizionale e connaturato ottimismo resta sospeso, in un limbo di amarezza, di rabbia e di disillusione, alla mercé dell’insipienza altrui. Andrà tutto bene, certo, ma a quali costi, a partire dalle vite umane?