Sorrento, il TAR dice no all’Housing Sociale: lì solo area agricolo-artigianale
SORRENTO – La VII Sezione del TAR Campania boccia l’Housing Sociale di Via Santa Lucia con la sentenza emessa a seguito del ricorso presentato da Gargiulo Antonetta, Russo Antonio, Adario Teresa, Palumbo Michele e Tkachenko Rayisa proprietari dell’immobile sito in Via S. Lucia 15 proprio di fronte al Capannome ex Apreamare dove sarebbe dovuto sorgere il complesso residenziale. Tutti i ricorrenti sono stati difesi dall’avv. Alfredo Sguanci contro il Comune di Sorrento e il Ministero dei BB.CC. nei confronti di AM Marine SpA e Aldebaran Srl avverso tutte le autorizzazioni rilasciate dal Comune e dalla Soprintendenza di Napoli.
Sulla base di quanto sentenziato dal TAR tramonta l’ipotesi di realizzare il complesso edilizio in quanto l’area e la struttura prescelte sono di natura agricolo-artigianale e vi si possono realizzare solo interventi di questo tipo e non un parco edilizio come progettato dalle società interessate all’opera. Riportiamo il pronunciamento del collegio che tocca aspetti interessanti della questione anche perchè non esiste soltanto il caso “Housing Sorrento“, ma analoghi progetti sono stati realizzati e proposti per la realizzazione anche in altri Comuni.
LE MOTIVAZIONI DEL TAR
2.1. Nel merito, il ricorso è fondato e va accolto.
In particolare, è in primo luogo fondata la censura sub B1), con cui ci si duole dell’incompatibilità dell’intervento con la l. reg. n. 35/1987.
2.2. Sul punto, giova preliminarmente ricordare che, per giurisprudenza costante, il PUT è inderogabile da parte di normative speciali, ed in particolare non è derogabile nemmeno dalla cd. legge sul Piano Casa (l. reg. Campania n. 19/2009). Come ritenuto da questa Sezione, «ricostruita la ratio della legge de qua [L.R. n. 19/2009], in conformità del resto con il dato letterale, quale evincibile dalla lettura degli art. 4 e 5, che fanno riferimento alla sola deroga agli strumenti urbanistici, la stessa giammai potrebbe prevalere sulla l.r. n. 35/87 di approvazione del P.U.T., peraltro neppure richiamata nella l.r. n. 19/09.
La generalizzata previsione di cui all’art. 12 comma 2 bis pertanto non potrebbe in alcun modo leggersi come deroga al P.U.T. – sia pure in relazione a quelle sole zona sottoposte a vincoli di inedificabilità relativa – anche in considerazione del rilievo che una norma eccezionale e premiale, quale quella sul “piano casa”, destinata pertanto ad applicarsi solo in relazione alle fattispecie e nei limiti temporali espressamente previsti, non potrebbe giammai derogare, in forza del disposto dell’art. 14 sulle disposizioni della legge in generale, in mancanza di espresso riferimento – fatta peraltro salva la questione di legittimità costituzionale della deroga medesima – ad una normativa speciale quale quella recata dalla l.r. n. 35/87, riferita alla tutela di un bene specifico, quale il paesaggio, e relativa ad un territorio circoscritto della Regione Campania con particolare rilevanza paesaggistica.
In questo senso, peraltro, ed in mancanza di espressa deroga, depone anche la necessità, alla luce di quanto innanzi osservato, di optare per una interpretazione costituzionalmente orientata, da privilegiarsi senza dubbio laddove, come detto, l’interpretazione letterale e sistematica non deponga per una deroga espressa al P.U.T. … In termini conclusivi, il Tribunale rileva che la normativa premiale ed eccezionale di cui alla l.r. n. 19/09 giammai può porsi come derogatoria rispetto alla speciale disciplina di cui alla l.r. n. 35/87, adottata peraltro in esecuzione della L. n. 431/1985 a tutela del Paesaggio, la quale peraltro, anche per espressa dizione normativa, si impone alle Regioni, ai sensi dell’art. 2 della legge medesima, in quanto contenente norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (secondo la dizione normativa atta a vincolare anche le Regioni a statuto speciale)» (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, sent. n. 3318/2015).
Successivamente, la Corte costituzionale (sent. n. 11/2016), con riferimento all’art. 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dedicato al “Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione” – il quale precisa che «le previsioni dei piani paesaggistici … non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali” e che “per quanto attiene alla tutela del paesaggio, … sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette”» (co. 3) – ha chiarito che:
– tale norma «esprime un principio di “prevalenza dei piani paesaggistici” sugli altri strumenti urbanistici»;
– il Codice dei beni culturali e del paesaggio “definisce dunque, con efficacia vincolante anche per le regioni, i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio – sia contenute in un atto di pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali, come il permesso di costruire – secondo un modello di prevalenza delle prime, non alterabile ad opera della legislazione regionale”;
– «l’eventuale scelta della regione (compiuta nella specie dalla Campania) di perseguire gli obiettivi di tutela paesaggistica attraverso lo strumento dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici non modifica i termini del rapporto fra tutela paesaggistica e disciplina urbanistica, come descritti, e, più precisamente, non giustifica alcuna deroga al principio secondo il quale, nella disciplina delle trasformazioni del territorio, la tutela del paesaggio assurge a valore prevalente. Il progressivo avvicinamento tra i due strumenti del piano paesaggistico “puro” e del piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici – giunto alla sostanziale equiparazione dei due tipi operata dal codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 135, comma 1) – fa sì che oggi lo strumento di pianificazione paesaggistica regionale, qualunque delle due forme esso assuma, presenti contenuti e procedure di adozione sostanzialmente uguali».
2.3. Posto che il PUT non è in alcun modo derogabile, neanche in forza delle disposizione della l. reg. Campania n. 19/2009, occorre verificare se l’intervento sia compatibile con le previsioni del PUT stesso.
È incontestato che l’intervento debba essere realizzato in zona 4 – D1 del PUT; tale zona è destinata ad insediamenti produttivi artigianali o a piccole industrie (n. max nuovi addetti 50) di trasformazione dei prodotti agricoli.
2.4. Secondo l’Amministrazione comunale e le società controinteressate, l’intervento assentito sarebbe compatibile con il PUT perché quest’ultimo non prevede alcuna disposizione ostativa all’intervento in questione: per un verso, infatti, la sentenza di questa Sezione n. 6699/2018 (con cui è stato ritenuto incompatibile col PUT un altro intervento di housing sociale), è relativa alla zona C e non a quella D1. Per altro verso, proseguono l’Amministrazione e le parti controinteressate, altra sentenza di questa Sezione (la n. 2805/2017) avrebbe espressamente ritenuto possibile il cambio di destinazione d’uso.
2.5. La tesi dell’Amministrazione resistente e delle parti controinteressate non è condivisibile. In primo luogo, occorre osservare che l’inderogabilità del PUT da parte della cd. legge sul Piano casa è stata affermata in termini generali, senza distinguere tra le varie zone. Sotto tale aspetto, dunque, è irrilevante che la zona in cui l’intervento è stato assentito sia la zona D1 e non la zona C.
In secondo luogo, il riferimento alla sentenza di questa Sezione n. 2805/2017 non appare pertinente. Tale sentenza respingeva il ricorso proposto avverso un permesso di costruire con cui si autorizzava un intervento di ristrutturazione edilizia (di un immobile esistente) con un cambio di destinazione d’uso; e si affermava l’infondatezza della censura con cui parte ricorrente sosteneva che in zona D1 fossero consentiti soli interventi di restauro e risanamento conservativo.
Nel caso di specie, invece, ci troviamo di fronte ad un intervento di nuova edificazione. È pacifico, infatti, che l’immobile esistente (un capannone industriale dismesso) sia un manufatto del tutto diverso dall’edificio che si progetta di costruire (una palazzina a destinazione residenziale). Il punto decisivo, dunque, è se sia possibile – in una zona in cui il PUT consente espressamente insediamenti produttivi e piccole industrie – demolire un capannone e costruire, al posto di quest’ultimo, una palazzina di tre piani interrati e cinque piani fuori terra, a destinazione residenziale.
Il Collegio ritiene un simile intervento edilizio incompatibile con la destinazione impressa dal PUT alla zona D1, non potendo lo stesso essere qualificato come un mero intervento di ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso. Piuttosto, si tratta di un intervento di nuova costruzione, atteso che – per giurisprudenza costante – «Il criterio discretivo tra l’intervento di “demolizione e ricostruzione” e la “nuova costruzione” è costituito proprio, nel primo caso, dall’assenza di variazioni del volume, dell’altezza o della sagoma dell’edificio, per cui, in assenza di tali indefettibili e precise condizioni si deve parlare di intervento equiparabile a “nuova costruzione”, da assoggettarsi alle regole proprie della corrispondente attività edilizia. Tali criteri hanno un ancora maggiore pregio interpretativo a seguito dell’ampliamento della categoria della demolizione e ricostruzione operata dal D.Lgs. n. 301 del 2002 in quanto proprio perché non vi è più il limite della fedele ricostruzione si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi fondamentali, in particolare per i volumi per cui la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi» (così Cons. Stato Sez. II, 20/05/2019, n. 3208; in senso analogo Tar Lazio, Roma, Sez. II quater, n. 10729/2018).
Ne consegue la non pertinenza della sentenza di questa Sezione n. 2805/2017 al caso di specie, di ben diversa natura.
3.1. È fondata anche la censura sub C1). Sul punto, si osserva che è controverso, tra le parti, se il fabbricato superi l’altezza massima consentita dal PUT oppure no.
In particolare, la società Aldebaran ha osservato che, se si considerano solo i piani fuori terra e le premialità che la norma sul contenimento dei consumi energetici, di cui al d.lgs. 102/14, offre ai fini del rispetto dei criteri di efficienza energetica, l’altezza media del fabbricato scende al di sotto dei 14 mt.
È tuttavia da escludere che la norma sul contenimento dei consumi energetici possa prevalere sulle disposizioni in materia paesaggistica di cui alla l. reg. Campania 35/1987. Per giurisprudenza costante, infatti, “Il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno” (tra le tante, Cons. Stato Sez. VI, 03/06/2019, n. 3732). Da tale principio si evince, pertanto, che le premialità di cui al d.lgs. n. 102/2014 non possono consentire il superamento dei limiti fissati dalla l. reg. n. 35/1987.
Comunque, indipendentemente dall’altezza esatta del fabbricato, ed anche ove si ammettesse che la suddetta norma sul contenimento dei consumi energetici prevale sulle disposizioni in materia paesaggistica di cui alla l. reg. Campania 35/1987, è incontestato che sia stato assentito un edificio che raggiunge quasi l’altezza massima consentita (anzi, la supera: solo non conteggiando nell’altezza massima le premialità di cui d.lgs. 102/2014 è forse possibile scendere al di sotto della soglia massima fissata dal PUT).
3.2. Orbene, l’art.19 del PUT prevede che le altezze massime siano “da adottare compatibilmente con le situazioni ambientali”. Sul punto, è fondata la censura di parte ricorrente, di cui al motivo C1), secondo cui tale valutazione è mancata. Infatti, né nell’autorizzazione paesaggistica n. 111 del 2013, né nel parere della Soprintendenza (nota 12562 / 2018), né nell’autorizzazione paesaggistica del 2.10.2018, è dato riscontrare un apprezzamento specifico sull’impatto ambientale e paesaggistico di un edificio che raggiunge (o meglio, come sopra ricordato, supera) l’altezza massima fissata dal PUT.
3.3. Le altre censure possono essere assorbite.
Il ricorso è dunque fondato e va accolto, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati sub a), b), c), d), h) ed i) in epigrafe. L’annullamento non può estendersi all’atto sub e) in epigrafe, con cui si ritiene applicabile al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica il procedimento semplificato di cui al d.P.R. 31/2017, essendo stata assorbita la relativa censura; né agli atti sub f) e g), attesa la carenza di interesse ad ottenerne l’annullamento, una volta annullato il permesso di costruire sub a) in epigrafe.
Sussistono giusti motivi, attesa la complessità e la natura interpretativa delle questioni trattate, per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Settima Sezione di Napoli, definitivamente pronunciando, disattesa e respinta ogni diversa istanza, domanda, deduzione ed eccezione, così provvede:
1. Accoglie il ricorso n. 293 dell’anno 2019 nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati sub a), b), c), d), h) ed i) in epigrafe;
2. Compensa integralmente le spese tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Rosalia Maria Rita Messina, Presidente
Guglielmo Passarelli Di Napoli, Consigliere, Estensore
Valeria Ianniello, Primo Referendario