L’Italia sul Baratro/Il Governo Populista e sovranista Di Maio-Salvini
di Raffaele Lauro
Non appena il Presidente della Repubblica con un intervento garbato, ma durissimo nella sostanza, incentrato su un’esplicita accusa di incapacità nei confronti dei leader del M5S e della Lega, a trovare, tra loro, una sintesi, non ovviabile in un sistema elettorale proporzionale, ha deposto sul tavolo la sua scelta obbligata di un governo “neutrale” e “di servizio”, i dioscuri del populismo e del sovranismo (all’italiana), Luigi Di Maio e Matteo Salvini, hanno stracciato le loro vesti, oltraggiando il Capo dello Stato, quasi avesse ipotizzato una soluzione eversiva della crisi politica, diventata ormai crisi istituzionale, e invocando le elezioni anticipate “ad horas” (al più presto, subito, immediatamente). E, poi, strappato il nulla osta (si fa per dire!) a Silvio Berlusconi, hanno ripreso ad “amoreggiare”, aprendo la strada ad un governo politico organico M5S-Lega.
Un governo di “emeriti” politici, non più di “vituperati” tecnici, almeno negli annunzi!
Un governo, in realtà, populista e sovranista, che se dovesse programmare e tentare di realizzare i deliranti propositi elettorali degli alleati, sia in politica estera (internazionale ed europea) che interna (in materia economica, fiscale e sociale), metterebbe in serio pericolo il futuro democratico del nostro paese, l’appartenenza storica al blocco occidentale, la stabilità finanziaria e la permanenza nell’Unione Europea: una sorta di Italexit, paventata già dal presidente francese Emanuel Macron.
Non a caso quasi tutti i lettori (pochi) di questo diario politico, all’appropinquarsi della malaugurata ipotesi, angosciati per gli esiti catastrofici, sul piano individuale e collettivo, di questa prospettiva e consapevoli della deriva autoritaria sulla quale ci stiamo avviando, hanno suggerito di cambiarne il titolo in: “L’ITALIA NEL BARATRO”. In quanto in questa vigilia storica (storica in quanto passaggio drammatico della nostra vita civile) i due alleati, i “soci antisistema”, i due probabili liquidatori dei fondamenti della democrazia rappresentativa, basata sulla costituzione repubblicana del 1948, starebbero per annunziare a Mattarella le loro convergenze programmatiche, da calare nel programma di governo e il nome del premier per il quale richiedere l’incarico pieno.
Gli stessi lettori, tuttavia, pur stretti nella morsa di insidiose elezioni anticipate, gestite da un governo del presidente e un siffatto esecutivo, prevedono che le contraddizioni insuperabili tra le parti, alla fine, nonostante le dichiarazioni ottimistiche rese anche oggi a Milano, con l’esibizione della prima bozza di “@contratto del cambiamento”, non vengano superate e che la loro mancata intesa si trasformerà in un successivo rodeo elettorale, uno scontro selvaggio, con insulti e nuove insinuazioni reciproche (un ballottaggio all’ultimo sangue!). I contendenti, infatti, essendo venuti meno tutti gli alibi, non potrebbero più coprirsi dietro accuse strumentali all’arbitro, a Matteo Renzi (il loro tiro a segno preferito!), ai poteri forti e ai soliti nemici del cambiamento.
Gli elettori, in quel caso, potrebbero finalmente esclamare, come nella favola danese di H. C. Andersen: “Il re è nudo!”.
Se, al contrario, le loro insanabili contrapposizioni verranno mascherate dalle parole nei loro “patti pre-matrimoniali”, come appare da questa prima bozza di accordo programmatico, si arriverà, nonostante il rigoroso vaglio presidenziale, al varo di un governo populista e sovranista, con la fiducia espressa della loro maggioranza parlamentare, più solida alla Camera e meno in Senato (se non soccorsa dai “fratelli” di Giorgia Meloni) Quelle contraddizioni, tuttavia, riemergeranno in quanto anche il più puntuale dei contratti governativi (neppure i tedeschi ci riescono) non potrà mai contemplare e regolamentare eventi e situazioni del tutto imprevedibili che esploderanno nella vita quotidiana del governo di fronte ad un quadro internazionale così complesso e denso di incognite. Gli imprevedibili eventi “non contrattualizzabili” possono essere gestiti, senza contrasti e rotture, da alleanze che si fondino su un’idea progetto comune, su una prospettiva solidale, su valori ideali condivisi, su un sogno.
Quale sarebbe il sogno dei grillino-leghisti? Distruggere il vecchio sistema? Un sogno distruttivo. E poi?
Gli alleati del governo populista e sovranista in fieri, infatti, hanno in comune soltanto disvalori, tra i quali primeggia, appunto, quello che ispira e nutre la demagogia antisistema: la distruzione del sistema democratico e la cacciata dal potere (le enfatizzate poltrone!) di un’intera classe politica, gli usurpatori, additata all’odio del popolo come corrotta, senza alcuna eccezione. La loro presa del potere, in nome di “popolo”, potrebbe alimentare aspirazioni autoritarie, prologhi dittatoriali, pulsioni razzistiche e nazionalistiche, con persecuzione delle minoranze, mascherati mediaticamente dalla salvaguardia degli interessi generali e dalla tutela dell’identità nazionale.
Scenari analoghi, già in fase avanzata, sia nell’ambito dell’Unione Europea (Ungheria e Polonia) che fuori (Russia e in Cina), non mancano. Dittature e para dittature, anche economiche, potrebbero essere presto dominanti sull’intero scacchiere mondiale.
I nostri commentatori politici, tranne qualche rara eccezione, presi dalla loro smania dei retroscena stanno, per viltà o per interesse, sottacendo i pericoli di questo infausto connubio grillino-leghista che rischia di liquidare la democrazia rappresentativa e rinnovare, sotto altre forme, il mito dell’uomo forte al comando, precipitando il paese in una deriva reazionaria non più meramente conservatrice, dai connotati sempre più para-fascisti. Il M5S, dal canto suo, a causa della sua confusa, irrisolta e indefinita identità politica, il calderone post ideologico, verrebbe completamente risucchiato e schiacciato, anche nell’immaginario collettivo, in questa dimensione di cui resta portatore Salvini, il quale appare ormai lontano da una accettabile vocazione neo-gollista.
Altro che governo del cambiamento! Sarebbe un cambiamento in peggio, come conferma l’analisi degli aspetti più controversi del quadro politico.
LA QUESTIONE BERLUSCONI RIABILITATO
Come il futuro governo Di Maio-Salvini, anche la coalizione di centro destra si è dimostrata una mera alleanza elettoraledettata da convenienze temporanee e da interessi contingenti, con prospettive degli alleati totalmente divergenti. Senza un’anima, priva di un progetto comune di lungo termine. Se Salvini ha rinviato il parricidio immediato di Berlusconi optando per l’eutanasia e per l’annessione incruenta di Forza Italia, lo ha fatto per diverse ragioni:
– evitare di presentarsi al potenziale alleato pentastellato come un socio di minoranza, con il cappello in mano, destinato a subire la premiership del M5S;
– tacitare eventuali rivelazioni scottanti sui pregressi rapporti finanziari tra Berlusconi e la Lega Nord di Bossi;
– scampare alla campagna di delegittimazione predisposta dagli strateghi della comunicazione della galassia berlusconiana.
Quali che siano i motivi reali che hanno spinto Berlusconi a concedere, in zona Cesarini, il nulla-osta a Salvini (timore delle elezioni anticipate, a breve; garanzie salviniane sulla intangibilità delle sue aziende, con la messa in sordina del conflitto di interessi; minaccia di una mossa del cavallo di Salvini, a spese di Forza Italia, con la proposta di un partito unico a trazione leghista; crisi immediata di tutte le alleanze territoriali), appare chiaro che il fondatore di Forza Italia, in rapporto anche alla riabilitazione politica, accentuerà la sua opposizione al nuovo governo, di cui è testimonianza l’accusa più recente di preparare in segreto la proposta di una patrimoniale. Il vero spauracchio del centro destra. Questa provocazione, non ultima, sta indebolendo Salvini e rafforzando la legittima pretesa di Di Maio di guidare il governo, senza ricorrere al “terzo”. E un Berlusconi riabilitato, inoltre, venderà cara la pelle!
LA QUESTIONE PREMIER
La questione premier, più che la osannata (e tuttora problematica) convergenza sui programmi, costituisce il principale nodo da sciogliere e dal quale dipende non solo a cascata la composizione della squadra ministeriale, quanto la valutazione complessiva sulla solidità, sulla operatività e sulla durata dell’esecutivo rivoluzionario grigio-verde.
Quattro sono le prospettive emerse nelle ultime ore:
– un capo di governo terzo, concordato tra i due, magari un alto dirigente della pubblica amministrazione, non politico, ma con “sensibilità politiche” (espressione demenziale!), senza la partecipazione dei due leader, sostituiti dai loro gregari e sodali: sarebbe una soluzione al limite del ridicolo, segnalante l’impotenza a trovare un’intesa, la mancanza di fiducia reciproca e la certezza di un governo impotente e destinato a soccombere presto, senza contare la contraddizione di aver sempre bombardato una soluzione tecnica, ripiegando poi su una scelta del premier analoga;
– un capo di governo terzo, concordato tra i due, con la presenza dei due leader in ministeri strategici e con la carica di vicepresidenti: meno precario del precedente, segnalante sempre la mancanza di fiducia reciproca e un premier ridotto a fantoccio, destinato, ai primi contrasti, a rapide dimissioni (il classico vaso di coccio);
– un premierato Di Maio, con Salvini vicepresidente e un ministero di peso, o viceversa: soluzione meno debole e precaria, che, tuttavia, se non compensata negli incarichi ministeriali, creerebbe forti tensioni e la dissoluzione della coalizione;
– un premierato Di Maio, senza Salvini nell’esecutivo, o viceversa (o il premierato di un gregario senza i leader dentro): soluzione sbilanciata e instabile, destinata a creare tensioni, tra il capo del governo e l’alleato incalzante dall’esterno, o il capo del governo e i leader dall’esterno, entrambi con le mani libere.
UNA “NUOVA RESISTENZA”
Qualunque sia (lo sapremo nelle prossime ore!) la soluzione governativa adottata dai cosiddetti vincitori del 4 marzo, l’ipotesi di un esecutivo M5S-Lega appare viziata, ab origine, da pesanti compromessi, da irrisolte questioni e da debolezze costitutive che lasciano prevedere, al di là dei programmi e delle paventate realizzazioni, precarietà, instabilità e incertezza. Senza contare che improvvide iniziative o annunzi scriteriati potrebbero scatenare, accanto alle cannoniere berlusconiane, quelle ben più efficaci del mondo finanziario internazionale, a partire dai “padroni“ del nostro debito pubblico, senza avere, a breve, neppure più lo scudo di Mario Draghi alla Banca Centrale Europea.
Bisogna prepararsi ad una “nuova resistenza”, a livello di consapevolezza diffusa nel paese, perché il nostro futuro democratico e, con esso, quello economico sono in evidente pericolo!
Se queste preoccupazioni, tuttavia, dettate dalla sapienza della storia, dovessero risultare eccessive, nonché allarmistiche, e il nuovo governo realizzasse il rinnovamento tanto atteso, nel rispetto delle regole democratiche, non si mancherà, su queste pagine, di darne laicamente atto ai protagonisti del “miracolo”.