L’Italia sul Baratro/I murales-verità, il teorema Letta e la sconfitta dei due “bari”
Il raffinato cardinale Francesco Del Monte, protettore del pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio, non avrebbe mai potuto immaginare che il quadro ad olio su tela, da lui commissionato nel 1594 all’artista prediletto, titolato “I bari”, con l’esplicito intento di condannare moralmente il vizio del gioco in generale e, in particolare, lo “zarro”, il gioco a carte liguri, già bandito peraltro nel 1531 dal duca di Milano Francesco Sforza come “socialmente pericoloso”, potesse diventare dopo più di cinque secoli (nel 2018) in un murale incorniciato, a firma Sirante, l’emblema della “truffa politica” che si sta consumando ai danni del nostro paese e del popolo italiano.
L’autore di questa seconda opera di street art collegata ai protagonisti del post-elezioni politiche, comparsa a Roma in via dei Lucchesi, a pochi passi dal Quirinale ed immediatamente rimossa (perché mai?) raffigura, in abiti d’epoca, il volto di Berlusconi al posto di quello del giovane giocatore ingenuo mentre fronteggia il suo interlocutore imbroglione (con il volto di Di Maio) coadiuvato da un complice (con il volto di Salvini). Quest’ultimo, infatti, alle spalle della vittima ne spia le carte e le segnala al correo.
Questo secondo murale-verità, dopo l’ormai celebre “bacio” tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, firmato Tv Boy, è diventato, come il primo, virale sul web e ha fatto irruzione nel dibattito politico segnalandone, attraverso una celebre opera d’arte, le contraddizioni, le falsità, le improvvisazioni e i tentativi di manipolazione dell’opinione pubblica italiana (e non solo).
LA CRISI SIRIANA E IL SUPER ARBITRO MATTARELLA
Sarebbe interessante fermarsi a raffrontare le psicologie dei tre soggetti, raffigurati nel quadro originale, con quelle ben più complesse dei tre protagonisti di questo passaggio cruciale della politica italiana, ma urge riflettere sulle decisioni che nelle prossime ore potrà assumere il super arbitro della partita, il presidente Sergio Mattarella, il quale, dopo il fallimento del secondo giro di consultazioni, ha visto rafforzato il suo ruolo di responsabilità nell’individuare la soluzione più rapida per l’uscita dalla crisi.
Non ha avuto difficoltà a sottolinearlo, nelle dichiarazioni pubbliche, sulla base di quattro condivisibili argomentazioni:
– il confronto tra i partiti non ha fatto progressi e siamo allo stallo;
– un terzo giro di consultazioni sarebbe del tutto inutile di fronte ai reiterati veti incrociati;
– la necessità di avere un governo nella pienezza delle sue funzioni, senza attendere i risultati delle elezioni regionali del 22 aprile (Molise) e del 29 aprile (Friuli-Venezia Giulia), si impone su qualsiasi calcolo di parte in relazione all’esplosione del conflitto bellico per la questione siriana tra il blocco occidentale (USA, Gran Bretagna e Francia) e quello orientale (Russia e Siria);
– il presidente della Repubblica attenderà ancora qualche giorno, ma alla fine, in mancanza di novità positive provenienti dai partiti dovrà scegliere una soluzione idonea allo sblocco della paralisi.
Da queste esplicite premesse presidenziali Mattarella sembra orientato a non affidare al presidente del Senato (o ad altra carica istituzionale) un incarico esplorativo che farebbe perdere altro tempo prezioso (game over!), ma procedere direttamente con un pre-incarico ad un esponente della Lega (Salvini o altri) espressione preminente della coalizione di centrodestra che ha raggiunto il 37% dei voti per far scoprire le carte e mettere tutti i partiti di fronte alle rispettive responsabilità (M5S, Lega, Forza Italia e anche il PD).
Se anche il pre-incarico affidato ad un leghista dovesse fallire, diventerebbe del tutto superfluo un secondo pre-incarico da affidare a Di Maio, per cui si aprirebbe la strada ad una rapida soluzione istituzionale (un governo del presidente, a somiglianza del Governo Monti, non caratterizzato dal profilo tecnico-economico, quanto da quello dell’emergenza politico-istituzionale): un incarico pieno ad una personalità al di sopra delle parti da rinviare subito alle Camere per la fiducia costringendo così i partiti a decidere se, negando la fiducia, andare subito alle elezioni o concederla a tempo.
IL TEOREMA LETTA E LA SCONFITTA DEI DUE “BARI”
Paradossalmente questa soluzione, definita tra il commentatori politici il “Teorema Letta”, favorita indirettamente dalla crisi siriana, sarebbe la meno sgradita rispettivamente:
– agli alleati occidentali (il putinismo russofilo di Salvini allarma la NATO!)
– alle cancellerie europee e ai responsabili dell’Unione (le decisioni di bilancio e le manovre correttive rientrerebbero, senza strappi, nella norma);
– al mercato finanziario (le “follie programmatiche” dei redditi di cittadinanza, dei dietrofront in materia previdenziale e delle flat fax sarebbero definitivamente archiviate);
– a Berlusconi la cui performance al Quirinale, in cui è stato regista, sceneggiatore e interprete della parodia di se stesso (quel tipo di governo non potrebbe prendere decisioni in materia di conflitto di interessi e il “parricidio”, programmato da Salvini, verrebbe rinviato sine die);
– al PD (i democratici avrebbero il tempo di riorganizzarsi, dopo la batosta elettorale, e di darsi una strategia credibile di medio-termine).
Gli sconfitti, in questo caso, sarebbero i presunti vincitori delle elezioni cioè Di Maio e Salvini, il M5S e la Lega. I “due bari” dell’ultimo murale passerebbero dalle stelle alle stalle! Dopo la spartizione, tra loro, dei vertici del Parlamento si vedrebbero esclusi dal governo diretto del paese dovendo rinviare alle calende greche di nuove elezioni un’ulteriore rimonta elettorale, comunque, nonostante i sondaggi favorevoli, del tutto imprevedibile sulla conquista di una maggioranza assoluta.
Un ritorno a breve alle urne, prima delle elezioni europee del 2019, sarebbe condizionato, comunque, dalla durata del governo presidenziale (moltissimi neo-eletti e i veterani dei vitalizi voterebbero sempre a favore!), dalle imprevedibili circostanze della crisi internazionale (con l’Italia costretta dagli alleati ad intervenire, anche indirettamente), dalla improbabile ulteriore emorragia dei voti del PD verso il M5S, nonché dei voti di Forza Italia verso la Lega, da un rafforzamento della ripresa economica e da una rinnovata fiducia dei mercati finanziari (non più in apprensione per gli estremismi programmatici dei sovranisti).
I populisti frustrati, dopo le roboanti celebrazioni della loro vittoria, dovrebbero anche calibrare attentamente le loro polemiche e gli attacchi, a fini elettoralistici, dentro e fuori il Parlamento, che non risparmierebbero, dopo i falsi riconoscimenti, neppure il Quirinale. In quanto i loro sostenitori, quelli del “Colosseo digitale”, imputerebbero a Di Maio e a Salvini il mancato avvento del messianico “governo del cambiamento” perché incapaci di mettersi d’accordo tra loro spazzando via il passato dei privilegi e il “male assoluto” (Berlusconi)
E l’elettorato italiano è diventato mobile, “qual piuma al vento, muta d’accento e di pensiero. Sempre un amabile leggiadro viso, in pianto o in riso, è menzognero”, come la donna cantata dal duca di Mantova nell’ultimo atto del “Rigoletto” di Giuseppe Verdi.
IL COLPO DI SCENA: SUBITO UN GOVERNO DI MAIO-SALVINI
Di Maio e Salvini, quindi, hanno poco tempo a disposizione, meno di una settimana, per evitare lo smacco, sparigliare le “congiure” contro la loro alleanza organica e annunziare l’accordo per la nascita del Governo Di Maio-Salvini. Questo colpo di scena dovrebbe passare per:
– il “parricidio” politico immediato di Berlusconi;
– un’intesa segreta per un cambio della guida del governo, a metà legislatura (primo turno Di Maio presidente e Salvini vice, oltre che potente ministro dell’Interno; secondo turno, Salvini presidente e Di Maio vice e potente ministro degli Affari Esteri);
– un programma comune di legislatura (non solo un contratto alla tedesca) con il superamento dei loro profondi contrasti in politica estera;
– la spartizione proporzionale dei ministeri (dal manuale Cencelli al manuale Giorgetti?).
I “bari”, in un solo attimo, si trasformerebbero in “traditori” e il loro governo dovrebbe affrontare l’artiglieria pesante non solo della corazzata mediatica berlusconiana (compresa la carta stampata: i titoli de “Il Giornale” e i fondi minacciosi di Alessandro Sallusti ne sono l’inequivocabile preavviso), della Rai renziana (sopravvissuta) e dei maggiori gruppi editoriali (in primis, L’Espresso), ma anche quella dei cosiddetti poteri forti, a cominciare dalle agenzie finanziarie che smetterebbero, di colpo, l’attendismo attuale.
Comincerebbe così una guerra senza esclusioni di colpi (inchieste, ricatti, dossier e campagne di stampa) con l’Italia alla deriva, travolta da una nuova crisi finanziaria, come quella del 2011, e dall’interruzione della ripresa economica. Sempre più giù, nel baratro!