L’Italia sul Baratro/Verso un Governo sovranista Di Maio-Salvini?
Avviso ai lettori perplessi: l’ipotesi di un governo sovranista non rappresenta la descrizione di un incubo notturno e neanche di un periodo ipotetico del terzo tipo, cioè dell’irrealtà.
Nessuno si lasci fuorviare dalla cortina fumogena dei tatticismi post-elettorali, da parte dei vincitori apparenti delle elezioni (M5S e Lega), tendenti a rassicurare, da parte dei grillini, il fronte esterno, europeo, atlantico e finanziario, e da parte dei leghisti il fronte interno, il proprio elettorato ansiogeno.
I due leader, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, infatti, si stanno convincendo (o, meglio, si stanno lasciando convincere!), giorno dopo giorno, che qualsiasi esecutivo che nascesse da una loro diversa e contrapposta prospettiva strategica senza un’alleanza organica di legislatura, sia politica che programmatica e, ancor più, senza una loro personale corresponsabilità nel governo del paese, trasformerebbe ben presto le contingenti affermazioni elettorali in un declino di consensi, in aspettative deluse e in future sconfitte, al Sud come al Nord.
Lavorano, quindi, ad “un governo sovranista” con Di Maio primo ministro e Salvini vice premier, nonché ministro dell’Interno o degli Affari Esteri.
Di Maio, sebbene faccia profferte quotidiane (tutte strumentali!) di voler trattare con tutti, auspicando (fintamente) il sostegno gratuito di un PD senza più Renzi alla guida, ma non derenzizzato, sa bene che i voti necessari per costruire una maggioranza solida, in entrambe le Camere e per far approvare i provvedimenti più significativi (le promesse elettorali “a cinque stelle”: tra le quali, l’ormai popolarissimo e ambiguo reddito di cittadinanza!) non gli saranno garantiti, senza corrispettivi e per sempre, da nessuno, neppure dai cani sciolti da vincoli di gruppo.
Allo stesso modo Salvini si è reso conto che una trattativa per un sostegno esterno qualsivoglia ad un governo di centrodestra, Lega-Forza Italia-Fratelli d’Italia, metterebbe in ballo innanzitutto la sua candidatura a premier e, qualora fosse accettata, rischierebbe di essere mandata in minoranza, in reiterate imboscate parlamentari, su provvedimenti controversi.
I due vincitori, quindi, onde evitare appannamenti della loro immagine antisistema e per trasformare le vittorie apparenti in un autentico scacco matto all’ancien régime, saranno costretti, dalla tirannia dei numeri e del fattore tempo, ad allearsi tra loro alla luce del sole e a giocarsi il tutto per tutto senza attendere nuove elezioni in autunno per continuare a prosciugare, il primo, il bacino elettorale del PD e, il secondo, per cannibalizzare definitivamente Forza Italia con il sostegno del “partito pro-Salvini” operante sotto traccia tra i berlusconiani.
La loro forza? Tutti gli altri, i sostenitori del “Patto del Nazareno”, censurati come gli “inciucisti” di professione, sono usciti dalle elezioni con le ossa rotte e non sono più in grado, politicamente, tantomeno numericamente, di organizzare un’alternativa e neppure una benché minima resistenza all’avanzata dei sovranisti.
I cugini di Nigel Farange, di Marine Le Pen, di Steve Bannon e di Viktor Mihály Orbán, hanno capito che i loro elettori, sudisti o nordisti, non sono disposti ad aspettare troppo tempo:
– per riscuotere le promesse elettorali;
– per scoprirli invischiati in compromessi da prima repubblica;
– o per vederli cadere vittime di congiure parlamentari, orchestrate dalle vecchie volpi della politica.
Gli elettori cinque stelle e leghisti vogliono riscuotere subito, e con gli interessi, il loro credito di fiducia e vedere onorata la cambiale in bianco sottoscritta.
Segnali, in questa direzione di marcia verranno alla fine prossima settimana, a partire da venerdì 23 marzo, dagli appuntamenti istituzionali previsti dalla Costituzione e dalla prassi: l’insediamento delle due Camere; la composizione dei gruppi parlamentari, in particolare del gruppo misto; le elezioni dei capigruppo e, infine, le elezioni del presidente del Senato della Repubblica e del presidente della Camera dei Deputati. Già le elezioni dei capigruppo, all’unanimità o a maggioranza, nonché l’appartenenza correntizia, costituirà un termometro degli equilibri interni, specie nel PD e in Forza Italia.
Inoltre, se la seconda carica dello Stato andasse al M5S e la terza alla Lega, sulla base di un accordo di ferro, con qualche aggiunta, sempre disponibile, il percorso per arrivare ad un governo sovranista sarebbe molto breve, anche se i protagonisti dell’intesa sarebbero prodighi, nell’immediato, a distinguere il livello istituzionale da quello politico, in senso stretto.
In questo caso il disegno di Berlusconi e di una parte del PD di ottenere l’elezione di presidenti come garanzia (garanzia di cosa? Di un passato che non torna più?), il Senato per Forza Italia e la Camera per un esponente antirenziano del PD, andrebbe in frantumi.
Berlusconi ne uscirebbe definitivamente affossato e il PD a pezzi!
Non appena il Governo Gentiloni, dimissionario, avrà presentato alle Camere entro il 10 aprile il DEF, un documento necessariamente tecnico (cioè vuoto), come ha anticipato il ministro Padoan, un ulteriore segnale nello stesso verso potrebbe venire dall’impegno dei gruppi, pentastellati e leghisti, a volerlo riempire nel dibattito parlamentare di contenuti prefiguranti i punti programmatici del loro futuro governo.
A Mattarella, di fronte ad un alleanza definita e autosufficiente presentata in nome di un cambiamento radicale, non resterebbe altro che conferire un incarico pieno a Di Maio e, sciolta la riserva, rinviarlo alle Camere per la fiducia. In poche ore il governo dei sovranisti troverebbe ulteriori e massicci apporti parlamentari e non soltanto di provenienza Forza Italia.
Quel Mattarella, la cui elezione non condivisa da un Berlusconi tradito e imposta da un Renzi imperante, divenne il “casus belli” tra gli ex alleati del Nazareno, con la fine del patto e con la susseguente bocciatura del referendum costituzionale: errori su errori, dall’una e dall’altra parte, che hanno prodotto la loro rispettiva delegittimazione politica.
Il risultato elettorale 2013 del M5S (il 25,55 %, con più di 8,5 milioni di voti) avrebbe dovuto consigliare al “maestro” e all’”allievo” prudenza e maggiore acume politico, evitando quelle intemperanze caratteriali che la politica non assolve e che, ancor meno, la storia perdona.
Se dovesse nascere, per davvero, un governo dei sovranisti, il Governo Di Maio-Salvini, al tripolarismo asimmetrico si sostituirebbe un nuovo bipolarismo, un bipolarismo degli estremi, senza più un centro politico ormai ridotto in cenere.
Avviso ai lettori perplessi: l’ipotesi di un governo sovranista non rappresenta la descrizione di un incubo notturno e neanche di un periodo ipotetico del terzo tipo, cioè dell’irrealtà.