L’Italia sul Baratro/Programmi elettorali: la fiera dei Ciarlatani
Ipotizzando che un elettore medio italiano, ammesso che abbia deciso di andare alle urne, invece di astenersi, nonostante la rabbia, l’amarezza e la sfiducia nutrite nei confronti della politica e dei politici, si determinasse, armato di buona volontà, di tempo disponibile, di spirito masochista e, soprattutto, di biblica pazienza, a voler conoscere, leggere, approfondire, valutare e comparare i ponderosi ed enciclopedici programmi dei partiti e dei movimenti, nei tomi o nelle versioni in pillole, pocket o simil-bignamini, con il legittimo intento di esprimere responsabilmente il proprio voto, a cosa andrebbe incontro?
Riuscirebbe a scoprire, in una giungla amazzonica di promesse irrealizzabili, di proposte contraddittorie, di errori marchiani e di inganni spudorati, la mancanza di un filo conduttore coerente, di un progetto credibile, di una concreta speranza e di un sogno da realizzare, per risolvere la crisi morale, economica e sociale del nostro paese? O rischierebbe di fare fine del rozzo Calandrino, di boccacciana memoria, ingannato e irriso dagli amici, alla ricerca dell’elitropia, la pietra dai poteri soprannaturali, la pietra che rende invisibile?
I programmi elettorali operano, infatti, come il “comico” nel Decamerone, la stessa distorsione e lo stesso rovesciamento della realtà, che sfuggono al povero Calandrino, vittima della beffa degli amici, i quali lo ingannano, attraverso l’utilizzo di parole e concetti, che lui non è in grado di capire e di decodificare. Siamo proprio certi che, rispetto al passato, l’elettore medio italiano continuerà, come Calandrino, a rovesciare il mondo attorno a lui, non comprendendo di essere stato ingannato, sfogandosi violentemente sulla incolpevole moglie, piuttosto che, ormai reso consapevole della fiera dei ciarlatani, sanzionare e spazzare via una classe politica incapace di progettare il futuro del paese e di corrispondere adeguatamente alle croniche emergenze nazionali?
Il ciarlatano, rispetto ai secoli passati, non vende più rimedi medicali miracolosi (Giacomo Casanova, da par suo, vendeva “L’acqua della gioventù”) sulle piazze delle contrade. Ha cambiato la tipologia delle sue promesse e il suo modo di comunicare con la massa, ma rimane una figura, intatta nel suo esistere, sia che faccia l’imbonitore televisivo (o multimediatico), sia che si proponga come pubblico amministratore. Il politico, quindi, nelle democrazie deboli e nelle fasi di maggiore difficoltà economica della gente comune, come oggi in Italia, ha una speciale capacità a cogliere la fragile psicologia del cittadino elettore, pronto a credere a ciò che più lo rassicura. E, così, come singoli o come partiti, i politici diventano venditori di promesse irrealizzabili, carpendo la buona fede di coloro che a tali promesse vogliono credere, per necessità esistenziale o per mancanza di alternative.
I programmi elettorali, per la XVIII legislatura repubblicana, sono infarciti di queste promesse, impossibili da realizzare. Ne è testimonianza, non di parte, il forte richiamo etico, indirizzato, di recente, al ceto politico italiano, impegnato nella campagna elettorale, dal presidente della Conferenza Episcopale italiana, Cardinale Gualtiero Bassetti: “Non si deve e non si può dimenticare quanto rimanga immorale lanciare promesse che già si sa di non riuscire a mantenere. Altrettanto immorale è speculare sulle paure della gente: al riguardo, bisogna essere coscienti che quando si soffia sul fuoco le scintille possono volare lontano e infiammare la casa comune, la casa di tutti. Per il futuro del paese e dell’intera sua popolazione, da Nord a Sud, occorre mettere da parte le vecchie pastoie ideologiche del Novecento e abitare questo tempo con occhi sapienti e nuovi propositi di ricostruzione del tessuto sociale ed economico dell’Italia”.
Tutti i programmi elettorali, finora resi pubblici, sembrano essere stati costruiti nel chiuso delle stanze di partito, prescindendo dalla realtà e dai dati incontrovertibili a disposizione, attraverso la mera collazione di contributi di diversa provenienza, da cui discende non solo la incompatibilità economico-finanziaria tra diverse misure presenti nello stesso programma, quanto, di maggior rilevanza, la mancanza di una visione organica, di una tattica, di una strategia e di una tempistica parlamentare. Ammesso e non concesso che quella forza politica o quella coalizione possa uscire vincitrice dalle urne, con una larga maggioranza compatta, in grado di realizzare il programma proposto. Ipotesi, allo stato, del tutto improbabile.
Per i partiti provenienti dall’opposizione il verbo più utilizzato è “abolire”, per i partiti di governo è “continuare”, nessuno, tuttavia, impiega il verbo “costruire”, come se scaricare i costi delle “abolizioni” e delle “continuazioni” sulla fiscalità generale, non riguardasse i redditi dei cittadini contribuenti e delle imprese, in particolare delle micro, piccole e medie imprese, che costituiscono più del 90% del tessuto produttivo nazionale.
Da venti anni, i governi che si sono succeduti, sia di centro destra che di centro sinistra, hanno parlato di riduzione della eccessiva e insostenibile pressione fiscale, un vero macigno, di riforma delle imposte dirette e indirette, nonché quelle previdenziali e del lavoro: neppure una riforma programmata è stata realizzata. Ora va di moda la “flat tax”, con aliquota ballerina, che, pur essendo progressiva e non proporzionale, come erroneamente si polemizza, non induce le forze politiche proponenti ad indicare coperture finanziarie compensative per l’introduzione della ulteriore imposta.
Per quanto riguarda i nuovi movimenti che aspirano legittimamente a governare il nostro paese, i loro programmi, pur scontando l’inesperienza e il comprensibile velleitarismo, prescindono totalmente dai vincoli europei, dalle coperture finanziarie certe e, principalmente, dai condizionamenti derivanti dal nostro debito pubblico, salito, in due anni, di 116,3 miliardi (+5,35%), dai 2.173,3 miliardi del 2015 ai 2.289,6 miliardi del 2017, il cui 32%, cioè quasi un terzo, è in mano agli investitori esteri (fondi). Senza contare che, tra il 2015 e il 2017, è raddoppiata la fetta di titoli pubblici detenuta dalla Banca d’Italia, che ha incrementato di quasi 200 miliardi di euro (+108%), gli acquisti di Bot e Btp, nell’ambito del piano promosso dalla Banca Centrale Europea, uno scudo (temporaneo) fortemente voluto dal presidente, l’italiano Mario Draghi. Qualcuno avverta i vecchi e i nuovi naviganti della politica italiana, impegnati nella campagna elettorale e in programmi irrealizzabili, che il mandato di Draghi scadrà il 31 ottobre 2019, mentre la guerra di successione dei tedeschi è già iniziata.