L’Italia sul Baratro/Il tripolarismo asimmetrico e il partito degli indecisi
Gli italiani non sono più disponibili a “galleggiare” per le responsabilità di un ceto politico incapace e di istituzioni mal funzionanti.
Le “sibille” delle rilevazioni e delle analisi delle opinioni espresse dagli elettori intervistati, i mitici sondaggisti, hanno partorito, venerdì scorso, le ultime tendenze e le previsioni dei risultati delle elezioni del 4 marzo, con proiezioni sulla futura composizione delle Camere, sostanzialmente convergenti: un “tripolarismo asimmetrico”, con nessuna maggioranza parlamentare, coesa e solida, e con un punto interrogativo sulla futura governabilità del nostro paese. Si tratta degli ultimi sondaggi pubblici, prima dell’oscuramento previsto dalla legge e, quindi, proiezioni di particolare significato, in quanto consentiranno di decifrare le prossime mosse, le uscite paradossali, talvolta autentiche “boutade”, dei cosiddetti leader politici!
Ci dobbiamo aspettare, nei fuochi d’artificio finali, un’esaltante “sagra delle balle sesquipedali”! Altre promesse irrealizzabili senza coperture certe, negli ormai disperati tentativi di racimolare qualche decimale di consenso, come la flat tax di Forza Italia e della Lega, i nuovi scaglioni di Liberi e Uguali, il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle e il reddito di inclusione del Partito Democratico.
I sondaggisti e le loro società di riferimento, tuttavia, non resteranno disoccupati, nei prossimi dieci giorni utili, prima del silenzio pre-voto del 3 marzo. Prepareranno sondaggi riservati ai politici, ispirati più che alle leggi statistiche, a proiezioni consolatorie per i rispettivi committenti, angosciati per le loro prospettive di voto. Angoscia che, comunque, non li spinge a tacitare (eliminare sarebbe impossibile) i contrasti al loro interno.
Contrasti espliciti tra Berlusconi, Salvini e la Meloni per la premiership, in caso di vittoria del centrodestra, nonostante i patti scritti, sottoscritti e proclamati nei salotti televisivi. Se la Lega prendesse un voto in più di Forza Italia o se la Lega e Fratelli d’Italia doppiassero i seggi del partito di Berlusconi, rivendicando la guida del governo, il “risorto berlusconismo” avrebbe i mesi contati, con la fuga in massa dei forzisti moderati a sostegno di un governo istituzionale o “del presidente”, per non perdere, con nuove elezioni, il seggio faticosamente conquistato.
Contrasti velati, ma non troppo, tra Renzi, la Bonino e la Lorenzin, con la possibilità che almeno +Europa (il fiore petaloso di Civica e Popolare, creato in fretta e furia in una serra artificiale, non avrà fioritura primaverile, con il suo ininfluente 1%, e sarà deposto sulle tombali disillusioni dei molti candidati trombati!) superi la soglia del 3%, sottraendo seggi ai democratici, rendendo più amara la sconfitta politica del segretario PD, il quale sperava (e spera ancora!) di consolarsi conquistando almeno il più numeroso gruppo parlamentare.
Contrasti eroicomici, tra il candidato premier del M5S, Luigi Di Maio, e la marea crescente dei parlamentari uscenti, specializzati nei rimborsi truccati, dei nuovi candidati allevati nelle logge massoniche e dei fuoriusciti dal movimento, negli ultimi giorni o nel corso della legislatura, dai gruppi parlamentari, il quali, con le loro dichiarazioni di fuoco contro le logiche (sic!) del movimento, renderanno problematico il raggiungimento del 30% dei consensi.
Non è un caso, quindi, che dalle tre parti in lizza, in particolare dal centrodestra e dal centro sinistra, vengano (ipocritamente) adombrate, in caso di paralisi parlamentare, nuove elezioni a breve, senza aggiungere l’obbligata necessità di almeno due passaggi preliminari: una nuova legge elettorale, varata per decreto, di impianto maggioritario, e una manovra finanziaria di assestamento di almeno trenta miliardi di euro. Nuove elezioni, infatti, senza questi due passaggi obbligati, determinerebbero una seconda paralisi, con il rischio di destabilizzazione degli stessi equilibri democratici.
In realtà, nei loro inconfessabili retro pensieri, le due coalizioni sperano in una immediata scomposizione dei gruppi parlamentari, anche esterni ai loro ambiti, con altrettanto immediata ricomposizione in una maggioranza numerica salvifica, a sostegno di un governo “di salute pubblica”, di “larghe intese” o di “responsabilità nazionale”, o come diavolo vorranno chiamarlo, in nome (naturalmente) dell’interesse generale del paese. Stanno facendo, tuttavia, i conti senza l’oste, un oste divenuto molto esigente, quell’italiano medio, che potrebbe reagire, questa volta, oltrepassando la barriera del rancore e della rabbia.
I sondaggisti, mentre sono stati abbastanza d’accordo sulle percentuali di voto dei tre poli (centrodestra, tra il 36 e il 39%; centrosinistra, tra il 25 e il 27%, e M5S, tra il 28 e il 30%) e sulla distribuzione dei seggi alla Camera (centrodestra, fra 270 e 296; centrosinistra, fra 148 e 168, e M5S, fra 137 e 167) hanno fatto previsioni divergenti sui due partiti-underground, loro si veramente maggioritari: il partito degli astensionisti e il partito degli indecisi. Gli indecisi vengono indicati tra il 35 e il 45% e molti di essi, non meno di 6/7 milioni, decideranno alla fine di non decidere, andando ad ingrossare il partito degli astensionisti, ipotizzati di un + 10%, rispetto alle elezioni del 2013.
Nel partito degli indecisi militano, per motivi diversi, fette consistenti di elettorato femminile e di quello giovanile. Molte donne non andranno a votare per la “truffa” delle candidature, in quanto alcune candidate superblindate (superfluo fare nomi!), sia in un collegio uninominale, che in più collegi plurinominali, si tradurranno, con le opzioni, in una prevalenza di eletti maschili, piazzati strategicamente alle spalle delle capoliste. Non meno del 50% dei giovani, anche al primo voto, si dichiara incerto e indeciso, se andare o meno alle urne e su chi votare, perché si sente deluso, amareggiato e insoddisfatto per l’offerta politica che li riguarda. Se i programmi elettorali risultano insufficienti per il futuro del paese, appaiono poco convincenti nelle politiche giovanili. La fuga verso l’estero continuerà, preparando così la drammatica condizione di un Mezzogiorno condannato a diventare la ridotta degli anziani, la parte più vecchia del paese.
Un autorevole commentatore politico, come Angelo Panebianco, ha chiesto, in questi giorni, alla fervida fantasia del lettore del maggiore quotidiano nazionale, di immaginare i vantaggi di una “democrazia governante”:
– una campagna elettorale propositiva, cauta e sobria, con programmi fattibili, nella prospettiva dell’elezione di una maggioranza parlamentare autosufficiente, a sostegno di un governo solido, in grado di dare attuazione al programma illustrato agli elettori e presieduto da un capo politico, autorevole e credibile;
– un’opposizione parlamentare, capace di controllare l’operato del governo e di denunciare all’opinione pubblica eventuale malefatte o abusi, senza condizionare le scelte dell’esecutivo;
– una pubblica amministrazione, docile strumento del governo;
– delle magistrature amministrative, civili, penali, contabili e costituzionali, deputate, nel rispetto del ruolo della rappresentanza politica dei cittadini, ad impedire che vengano violate la Costituzione e le fondamentali libertà dei cittadini;
– la fiducia degli elettori, dei governi stranieri, degli investitori internazionali negli impegni elettorali assunti: di tagliare gli sprechi, di abbassare il carico fiscale, di rendere efficiente la pubblica amministrazione e i servizi, di ammodernare la scuola, nonché di combattere e vincere la criminalità organizzata e comune.
Prima che si illuda, immaginando, di poter fare una passeggiata lungo i sentieri ideali de “La Repubblica” di Platone, de “L’Utopia” di Tommaso Moro o de “La Città del Sole” di Tommaso Campanella, l’acuto accademico riporta il disilluso lettore (ed elettore) con i piedi in terra, sprofondandolo nella realtà di una democrazia tutt’altro che governante, una democrazia difficile, molto difficile, e di una campagna elettorale “sgangherata”:
– la nostra Repubblica è malata di immobilismo e di non-decisione;
– se dovesse nascere, dopo le elezioni, il governo sarà debolissimo, sorretto da una maggioranza scollata e divisa, assediato dai poteri forti e dai veti contrapposti;
– nessuno chiederà conto ai partiti e ai movimenti delle parole dette in libertà e delle promesse da marinaio;
– nessuno leader politico pagherà il prezzo della sconfitta con la sua immediata defenestrazione e l’uscita definitiva dall’agone politico;
– la gara tra i demagoghi e i predicatori finirà senza un vincitore;
– la nostra democrazia ridurrà pericolosamente le riserve di consenso e ne uscirà ulteriormente logorata, in totale affanno;
– gli italiani forse non saranno più disponibili a sopravvivere senza un governo adeguato.
Niente da aggiungere alle lucide conclusioni di Panebianco, anche se ciò che per lui permane dubbioso, rappresenta, per la maggior parte dell’elettorato, una certezza: gli italiani non sono più disponibili a “galleggiare” per la responsabilità di un ceto politico incapace e di istituzioni mal funzionanti.