36 anni fa il terremoto, il ricordo di Mario Russo presidente del consiglio comunale a Piano
di Mario Russo
“Sono 36 anni che ricordiamo quella sera. Qui sotto, il ricordo di quei giorni che ogni anno pubblico per ricordare una grande tragedia figlia di un tempo bellissimo, quello dei nostri 20 anni. Quel 23 Novembre avevo quasi 20 anni e come tanti con i ricordi forti puoi voltarti indietro e ritrovarli ancora. Vivevo in via Bagnulo, un palazzo nuovo, all’altezza del ponte della Circumvesuviana, ero nel corridoio appoggiato al muro nel tentativo di infilare quegli strani stivali chiamati Barrows , stetti e belli. Si andava a ballare al Wroom Wroom e poi a Sorrento. Mamma era a guardare la tv e papà in cucina. La scossa mi sballottò per il corridoio, era una cosa nuova e tremenda, papà ci urlava di scappare, ma poi usci fuori il terrazzo, io aiutai mamma ed assieme uscimmo fuori e ci ritrovammo in quella trappola a guardare i palazzi oscillare ed a sentire le grida di tutta quella gente. Il buio, poi di nuovo la luce illuminò quella gente inerte, colpita e senza speranza. Proprio io che quasi ne ero indifferente mi ritrovai ad invocare la Madonna di Pompei.
Appena finì la scossa ci ritrovammo sulla stazione e fu allora che mi fu chiesto di tornare a casa. Un incubo, ma ero l’unico giovane di tutto il palazzo, il resto erano donne e bambini con padri lontani, sul mare, proprio come i miei fratelli. Dovetti ritornare nel palazzo, aprire quella porta passare il corridoio uscire fuori il terrazzo prendere il latte che il contadino Mauro mettevala sera fuori il terrazzo, ma delle due bottiglie una era rovesciata e rotta allora depredai come avrebbe fatto un Saraceno il frigorifero e la dispensa, un mobile di formica marrona zeppo di Ovomaltina, biscotti Colussi e taralli di Irolla quando tornai in strada mi sentii quasi un eroe. Oramai ero gasato.
“Alla Ripa! Alla Ripa! Sono caduti i palazzi!!” la gente gridava, piangeva, pregava, Passò Lello Ponticorvo che adesso vive in Belgio: ” vado all Ripa, c’è mia sorella”. Guardai i miei ed allora mio padre mi disse “VAI FATTI ONORE TANTO O SACCIO CHE FRA CINQUE MINUTI VAI VIA LO STESSO!!”. Un bacio a mamma e inforcai il mio vespone 150 sv ed arrivai giù Via Cassano. E’ li’ che mi fermai. Una montagna di polvere e pietre, di travi spezzate e mobili e tra esse persone. Ma quante? e chi? La gente si teneva lontano da quel palazzo ancora in parte in piedi e con persone da recuperare ai piani alti.. Da poco avevano preso la famiglia Bucciero mentre erano ancora su, nel vuoto, Rosario Gargiulo e sua madre. Arrivarono gli altri ragazzi di quella Piano dei nostri venti anni, di quelli abituati a far notte e spacconate.
Un Vecchio chiamato zio Aniello con la moglie sotto le macerie ci implorava di scavare “disposto anche a pagare”. “Ma che dite? Andiamo noi” mi ricodo ancora di Antonio Apuzzo, Giacomo Marciano, di Luigi che adesso lavora alla Rustica, di Fabrizio Gargiulo dei fratelli Cuccaro. Non bastò niente e ci ritrovamm oltre quella montagna di pietre, tra il palazzo ancora all’impiedi e le macerie. Troppo sgretolate quelle pietre, tutto troppo compatto, come avrebbero potuto salvalsi? Arrivarono Gerardo e Vincenzo della ditta Mormile e salirono a prendere le persone ai piani alti. Non esisteva la Protezione Civile nè vi era un presidio pompieri, si andava su con quelle scale per luminarie e la forza delle braccia. La scossa delle 1,20 forte anch’essa ma di breve durata ci colse oltre quella barricata di pietre e sangue. Rimanemmo immobili e stretti, senza respiro, risalimmo la trincea e fummo rincuorati dalla gente di Cassano. Eravamo le loro braccia.
La notte ci regalò la tristezza e la gioia di tirar fuori una persona viva, una vecchietta rimasta tra l’armadio e la spalliera che ci disse solo di provare un grande freddo, lo stesso che col passare delle ore prendeva il posto della speranza.
Arrivò Federico Iaccarino, che stava scavando con altri presso Villa Fondi e mi confermò del ritrovamento della Lancia beta di Matteo Conte, il cognato era con noi convinto di trovarlo tra le macerie di quella casa che ormai era”nostra”. In tutto quel dolore trovammo la forza di avvicinarlo e tramite Elio Angrilli e Cicciofranco Russo comunicammo la notizia. La notte correva tra notizie portate a voce, drammatiche staffette, voci contraddittorie con aggiunte ed incomprensioni, non esistevano telefonini e chi aveva una famiglia cercava un ricovero per quella notte fredda ed improvvisa. Scavammo ancora con la rabbia e l’orgoglio dei nostri vent’anni, assieme ai parenti di chi mancava all’appello. Quando l’alba ci stava per cogliere fummo espropriati della nosta casa, di quelle mura sgretolate di quei mobli distrutti. Tutto passò in mano all’esercito ed arrivarono i mezzi pesanti. Ritornammo alle nostre famiglie. Non trovai mamma e papà, ma mi dissero che erano dagli zii al Cavone, sapevano che stavo bene e mi aspettavano là. A Piazza Mercato ci regalarono un panettone di natale.
Con gli altri ci si era dati appuntamento fra quattro ore. Quando entrammo nella macchina di Antonio Apuzzo, una 850 grigia aprimmo quel panettone e dopo averne mangiato ci addormentammo distrutti…
Quando ritornammo alla nostra casa altri erano ad attendere il triste rinvenimento delle persone morte sotto le macerie. Le strade si popolarono di gente e di calore umano, ancora non erano arrivati quelli che avrebbero sporcato quei momenti con la speculazione, con gli appalti truccati con le tangenti sui terromotati in albergo. Per sempre rimarranno nelle nostre menti parole come Morte, Solidarietà, Pertini, Balvano, Calabritto, San Mango sul Calore, le rovine della nostra chiesa i nostri morti e la consapevolezza di aver capito e perso in quel minuto molto di più di una vita intera”.
2 commenti
Filippiello
hai detto tutto e bene Mario, non c’è da aggiungere altro…in quei minuti imparammo a distinguere gli uomini veri da quegli altri
Salvatore
Grazie Mario per aver raccontato un pezzo della nostra storia. Non dimentichiamoci mai di quello che abbiamo vissuto per arrivare a quello che siamo oggi.