Debiti fuori bilancio, una sentenza che fa tremare funzionari e amministratori consenzienti!
Una fresca sentenza della Corte dei Conti fa chiarezza sui “debiti fuori bilancio” statuendo che trattasi di danno erariale per omesso impegno di spesa. La prassi consolidata di affidare la sanatoria dei debiti, che spesso raggiungono cifre ragguardevoli, all’esame e approvazione dei competenti consigli rischia di trasformarsi in un vero e proprio boomerang con concrete possibilità di risarcimento da parte di chi ha prodotto il debito. “Il debito fuori bilancio è un’obbligazione verso terzi per il pagamento di una determinata somma di danaro che grava sull’ente pubblico, assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa degli enti interessati: esso consiste, dunque, in un’obbligazione perfezionatasi nell’ordinamento civilistico indipendentemente da una specifica previsione di bilancio, in violazione pertanto delle norme che disciplinano il procedimento di spesa, e che sussiste pur in assenza di specifico impegno contabile.
Sulla base di tale premessa la Corte dei Conti, Sezione Prima giurisdizionale Centrale, nella sentenza del 18.1.2016 n. 22 ha ritento priva di pregio la pretesa sollevata da un dirigente di un Consiglio Regionale – condannato in primo grado al risarcimento dei maggiori oneri (interessi e spese di giudizio) connessi con l’assunzione di due obbligazioni contrattuali con altrettante ditte private in assenza di impegno di spesa, con successiva necessità di riconoscimento dei relativi debiti fuori bilancio – di far ritenere superfluo il predetto adempimento contabile (assunzione dell’impegno di spesa, successiva liquidazione del dovuto, ordinazione e pagamento al terzo debitore).
“L’esistenza di una contabilità sia pure “elastica” (com’è stata definita) per le spese del Consiglio regionale, certo non rende meno doverosi i vari passaggi procedurali giuscontabili, per quanto semplificati li si voglia ritenere, pena l’impossibilità per gli amministratori di conoscere con esattezza, di volta in volta, l’entità delle risorse a disposizione. Anzi, è proprio una tale basilare, quasi banale, considerazione che ha a suo tempo dato origine a tutte le norme in materia di divieto di gestioni fuori-bilancio e connessa necessità di far rientrare nell’alveo dell’ordinaria contabilità tutte le risorse gestite dagli enti pubblici, specie quelli territoriali”.
Ad avviso della Corte, quindi, alcuna norma avrebbe potuto consentire l’assunzione di spese in difetto di previa assunzione del relativo impegno e della successiva, esatta liquidazione della stessa.
Aggiunge la Corte che neppure è sostenibile che anche se le spese liquidate avevano comunque la loro capienza in bilancio via sia l’irrilevanza dell’impegno di spesa, in quanto adempimento meramente formale. Sul punto la Corte richiama la pacifica giurisprudenza contabile, la quale ha costantemente sanzionato simili irregolarità nella gestione delle spese pubbliche in quanto “L’ordinazione irregolare di spese non deliberate nei modi di legge e prive altresì di impegno contabile … costituisce una violazione di elementari doveri di servizio, connotata altresì da colpa di rilevante gravità … ne consegue l’emersione, a seguito di vittorioso giudizio avviato dal creditore insoddisfatto, di danni pubblici corrispondenti alle spese aggiuntive per oneri accessori del credito e per la rifusione delle spese legali e che non possono, quindi, non fare carico all’irregolare ordinatore della spesa”. Nel caso è stata proprio la carenza del regolare impegno di spesa a comportare incertezze, ritardi nei pagamenti, contenzioso con i privati e infine le maggiori, indebite spese per l’amministrazione regionale. Di qui il rigetto dell’appello con conferma della condanna inflitta in primo grado.
Fonte: Corte dei Conti