Moody’s ci declassa? Patrimoniale del 5%
di Santolo Cannavale
Moody’s taglia il rating dei titoli di Stato italiani da A3 a Baa2 e conferma l’outlook negativo (prospettiva) per rischio contagio di Spagna e Grecia. Non badiamo al possibile conflitto d’interessi della società di rating, consideriamo “il lato stimolante” dell’evento e cioè la spinta forte ad adottare nel nostro Paese misure efficaci per uscire dall’insostenibile situazione di indebitamento pubblico. Sarò ripetitivo, ma sosterrò questa tesi fino a quando qualcuno mi dimostrerà la sua inefficacia. Occorre porre mano da subito in Italia ad una imposta patrimoniale del 5%, escludendo dal calcolo il valore della prima casa.
Con il ricavato di circa 350 miliardi di euro – su un patrimonio privato di 8.500 miliardi di euro – si abbatterebbe il debito pubblico italiano da 1.950 a circa 1.600 miliardi di euro, con la possibilità di diradare le aste di BOT e BTP. A quel punto, con i tassi sui BTP decennali italiani al 2%, al posto dell’attuale 6,5 per cento, il nostro Paese potrebbe giocarsela tutta, avviando le necessarie riforme e le opportune riduzioni di spesa (spending review). Moody’s , di fronte ad una manovra di questo spessore, dovrebbe rivedere e rivalutare il giudizio sull’affidabilità finanziaria dell’Italia. L’Italia potrebbe fare concorrenza alla Svizzera in quanto ad affidabilità e capacità di attrazione di capitali stranieri. Sarebbe concreta la possibilità di rientro di capitali nazionali temporaneamente sistemati all’estero. Si creerebbero le condizioni favorevoli per fare nuovi investimenti nel nostro Paese, offrendo uno sbocco ai giovani preparati in cerca di opportunità di lavoro. Ritornando all’ipotesi di imposta patrimoniale, occorre sottolineare che gli interessi pagati sul nostro debito pubblico finiscono per buona metà all’estero. Annualmente paghiamo agli investitori situati fuori dal nostro Paese più di 45 miliardi di euro (circa 50% del totale sborsato dal Tesoro). Questo è senz’altro il più grande, insopportabile spreco di risorse in Italia. I mercati, valutando la positività dell’imposta patrimoniale, applaudirebbero, la borsa con le sue quotazioni da saldo risponderebbe con aumenti del 50% e più, i BTP a lunga scadenza si apprezzerebbero, i tassi d’interesse sulle nuove emissioni di titoli pubblici si adeguerebbero, come già accennato sopra, a livelli minimi. Da qui il più grande risparmio di costi. Il resto verrebbe da sè. L’intervento andrebbe spiegato con pacatezza ai destinatari interessati, sottolineando il carattere non punitivo del provvedimento, anzi riconoscendo ai possessori di grandi patrimoni il merito storico di poter salvare il Paese. Gli stessi avrebbero la concreta possibilità di recuperare l’esborso con lauto guadagno aggiuntivo sul patrimonio disponibile a seguito dei rialzi dei mercati e del miglior andamento dell’economia attualmente penalizzata da ridimensionamenti di consumi e posti di lavoro. Il rialzo delle quotazioni di borsa contribuirebbe a difendere il patrimonio aziendale nazionale che, alle attuali valutazioni di mercato, potrebbe essere assorbito da investitori internazionali e fondi sovrani velocemente ed a prezzi di saldo. Resta ovviamente ferma l’utilità di capitali stranieri in entrata, nuovamente fiduciosi dell’affidabilità del sistema Italia. In contemporanea si dovrebbe “semplicemente copiare ed applicare” il recente accordo stipulato tra il Governo austriaco e quello svizzero. Detta intesa prevede un prelievo sui capitali parcheggiati in Svizzera ad una tassazione media del 25%. A questo introito “una tantum” per la sistemazione del passato, vanno aggiunti per gli anni a venire i prelievi annuali alla fonte del 25% sugli interessi maturati. L’applicazione di questo accordo frutterebbe da solo all’Italia un incasso particolarmente corposo, tenuto conto che in Svizzera risultano parcheggiati circa 150 miliardi di euro di solerti “risparmiatori” italiani.