Il fatturato dell’holding criminale analizzato da Banca d’Italia
di Gaetano Mastellone
Stamattina, 6 giugno 2012, il Vice Direttore Generale di Bankitalia, dott.ssa Anna Maria Tarantola, ha relazionato in Senato alla “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere” sulla “Dimensione delle attività criminali, dei costi per l’economia e sugli effetti della crisi economica”. Ho letto, con particolare interesse, il documento di circa 20 pagine della dott.ssa Tarantola e riporto in sintesi i punti salienti dello stesso.
La dimensione del “fatturato” delle attività criminali sul PIL italiano è veramente terrificante: varia con punte dal 12 al 18%! Ecco perché per uscire dalla crisi è necessario combattere il crimine e combattere l’evasione fiscale. Sono due mostri che ci stanno uccidendo. Ovviamente in ogni guerra, conoscere le dimensioni del nemico, la sua potenzialità di danno, è un elemento essenziale per definire strategie vincenti. Ciò vale anche per la guerra alla criminalità organizzata. Sono ben noti molti elementi dell’organizzazione e dell’azione c.d. “militare” (strutture e reati “violenti”) ma di cui resta spesso più oscura la “potenza” economica, che, pure, fa della criminalità uno dei grandi attori dei mercati, anzi, talvolta un vero e proprio “mercato”. La criminalità organizzata ha una elevata capacità di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, riesce ad instaurare relazioni con la società civile (privati e politici), si alimenta con la “collusione e la corruzione”. Questa attività criminale intacca il comportamento civico, la fiducia, le reti di relazione, insomma aggredisce il capitale sociale di un territorio. Si instaura un sistema di intrecci perverso tra società civile e “società illegale” che si autoalimenta e di cui è difficile valutare la complessiva portata. Infatti misurare la rilevanza economica delle attività criminali è tuttavia assai complesso, sappiamo che è un vero terzo mercato. In generale, le statistiche ufficiali che forniscono informazioni sulla criminalità derivano da quanto è stato “scoperto” dalle Forze dell’Ordine, e, quindi, ne rappresentano una sottostima. Altri enti, pubblici e privati, svolgono analisi per cercare di quantificare il fenomeno utilizzando diversi metodi di stima che possiamo distinguere tra diretti e indiretti. Stimare il valore delle attività criminali e i costi che esse impongono all’economia è attività complessa e soggetta ad ampi errori di stima. E’ tuttavia un’attività preziosa sia per comprendere le radici e le cause del fenomeno, dove sia più radicato o si stia diffondendo, sia per rafforzare la capacità di reazione e contrasto. Le stime ufficiali dell’Istat mostrano che nel 2008, il valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico risultava compreso tra un minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275 miliardi di euro, pari, rispettivamente, al 16,3 e al 17,5 per cento del PIL (Istat, 2011). Queste stime, peraltro, si limitano al “sommerso”, che, pur avendo connessioni con l’economia criminale, non vi si identifica: costituiscono pertanto una sottostima del fenomeno. Altre stime basate su metodi “diretti” sono quelle fornite da Eurispes che valuta l’economia criminale in circa l’11.4 per cento per cento del PIL per il 2007 e quelle prodotte da Confesercenti che, nel XIII Rapporto SOS Impresa, ne stima il valore economico in circa il 7 per cento del PIL. Uno studio condotto dalla Banca d’Italia in collaborazione con ricercatori delle Università Federico II di Napoli e dell’Università di Torino evidenzia questi risultati:emerge un valore medio del sommerso fiscale e criminale in Italia nel quadriennio 2005-2008 pari, rispettivamente, al 16,5 per cento e al 10,9 per cento del PIL. Disaggregando le stime a livello territoriale, le province del Centro-Nord mostrano in media un’incidenza maggiore, sia del sommerso da evasione, sia di quello associato ad attività illegali, rispetto alle province del Sud. Il risultato di una maggiore incidenza riscontrata per il Centro-Nord probabilmente si giustifica con il fatto che l’utilizzo di contante per transazioni illegali riguarda specificamente attività criminali – traffico di stupefacenti e prostituzione – che, pur avendo “centri decisionali” localizzati in prevalenza al Sud, per effetto della mobilità delle risorse della criminalità organizzata e della concentrazione del “mercato al dettaglio” per questi beni e servizi nelle aree più ricche del paese, trovano una diffusione più intensa nelle province del Centro-Nord. Da questa ridotta “carrellata” del complesso intervento fatto dalla dott.ssa Tarantola si evince chiaramente che criminalità ed evasione sono mostri da combattere seriamente. A mio parere, non da oggi, i vari Governi non stanno facendo abbastanza ….. e mi domando il perché! Diminuire i finanziamenti per le Forze dell’Ordine significa far aumentare il fatturato criminale e significa far crescere anche il debito pubblico. Quando avverrà una seria e decisa svolta?